Sommaire
1. Il problema di una filosofia della natura
La lettura degli scritti di Schopenhauer mostra che la metafisica della volontà trae significativi elementi dalla speculazione schellinghiana. Nella letteratura su Schopenhauer le somiglianze con Schelling sono state rilevate, ma in genere sono state trattate con l’intento di affrontare la questione delle fonti del suo pensiero. In tal modo la ricerca si è arrestata a una mera elencazione, senza procedere all’analisi del ruolo delle idee di Schelling all’interno dell’opera schopenhaueriana. Invece non si tratta solo di una questione di somiglianze tra concezioni, ma del riconoscimento e della valutazione del loro uso nel sistema.
Gli studiosi hanno sempre affrontato con disagio la questione della presenza di Schelling nel pensiero di Schopenhauer. Si consideri la nozione di oggettivazione della volontà secondo una sequenza ascendente di forme. Per come è elaborata, e per i riferimenti in essa presenti, appare assai probabile che la sua fonte sia in Schelling. Eppure c’è chi ha proposto di guardare non al filosofo, bensì a qualche prestigioso uomo di scienza. Wilhelm Lubosch avanzò il nome dell’anatomista Ignaz Döllinger, trascurando il fatto che egli è assente dagli scritti giovanili di Schopenhauer. Arthur Hübscher, che a Schopenhauer ha dedicato non solo la vita (con la scelta di essere tumulato accanto al filosofo), ha guardato al fisiologo Karl Friedrich Kielmeyer, il quale fu la fonte di Schelling. E ha giudicato irrilevante che Schopenhauer fosse giunto a conoscere lo scienziato proprio grazie alla lettura di Schelling1.
In verità, nel processo di elaborazione della filosofia della natura Schopenhauer guardò a Schelling quale interlocutore principale. Da Schelling non soltanto trasse molto materiale concettuale; intese anche fondare la costruzione della “vera” filosofia della natura sul modello schellinghiano. In altre parole, volle ripercorrere il cammino intrapreso dalla Naturphilosophie, per approdare a una definizione “vera” del rapporto tra scienze e metafisica, che scartasse dal modello ciò che vi era di falso e insostenibile.
Fu lo spirito di sistema a giustificare l’esigenza di una filosofia della natura in Schopenhauer. Nella Prefazione alla prima edizione di Die Welt als Wille und Vorstellung (1819), l’autore chiarì il senso che intendeva attribuire alla sistematicità dell’esposizione filosofica: «quel che per suo mezzo [il libro] dev'essere comunicato, è un unico pensiero. ... A seconda dei diversi aspetti da cui si considera quell'unico pensiero da comunicare, esso si mostra come ciò che si è chiamato Metafisica, Etica, o Estetica ... . Un sistema di pensieri deve sempre avere una connessione architettonica ... . Invece un pensiero unico deve, per quanto comprensivo esso sia, conservare la più perfetta unità. Si lasci pure, per il fine della propria comunicabilità, scomporre in parti: tuttavia la concatenazione di queste parti deve essere organica...»2.
L'allora trentenne filosofo distingueva tra “architektonische Zusammenhang” e “vollkommennste Einheit”. Un sistema filosofico è architettonicamente ordinato quando «una parte sostenga l'altra, ma non questa a sua volta sostenga quella: la prima pietra sostiene tutte le parti, senza venire da esse sostenuta; il vertice è sorretto, senza sorreggere». Nella concatenazione organica, invece, accade «che ogni parte regga il tutto, così come viene retta dal tutto; nessuna è la prima e nessuna è l'ultima, l'intero pensiero guadagna in chiarezza mediante ogni sua parte, e anche la più piccola parte non può venir compresa appieno se già prima non è stato compreso il tutto»3. In altre parole, l'intero organico «non poggia su uno o pochi principi, sui quali gli altri sono costruiti; piuttosto ogni parte è condizione necessaria per il tutto e il tutto per ogni parte»4.
Questa distinzione aveva anzitutto uno scopo programmatico. L’errore tradizionale delle filosofie, secondo il giovane Schopenhauer, era stato quello di considerare prioritarie le questioni sul fondamento, sull'origine e sullo scopo dell'esistenza del mondo, invece di rispondere all'unico autentico interrogativo, riguardante l'essenza del mondo. «Cosa è il mondo?» è la domanda fondamentale: l'origine o il fine della realtà sono questioni nate all'interno del mondo e come tali appartengono al mondo stesso, non ne sono indipendenti5. Le filosofie avevano dedicato la loro ricerca a due fenomeni, misteriosi come la forza di gravità ma irrilevanti come una pietra. Schopenhauer non intese negare che la filosofia potesse interessarsi anche di tali argomenti, ma insistette sulle priorità dell'autentica filosofia: prima si deve svelare l'enigma dell'esistente, e solo dopo si possono indagare le sue caratteristiche generali.
Con la distinzione tra organismo e architettonica, inoltre, Schopenhauer intendeva chiarire il senso del suo rapporto con Kant. Sebbene egli si presentasse come l’unico erede autentico del criticismo, volle comunque indicare il limite della propria dipendenza: non amava essere considerato un semplice epigono del filosofo di Königsberg. Contro l'impostazione "architettonica" della filosofia kantiana, il giovane pensatore esplicitò l'unità organica del proprio pensiero. Così facendo, però, mise in luce un’affinità con lo stile filosofico schellinghiano che, negli anni successivi, l’avrebbe imbarazzato. Quarant'anni più tardi, si vide costretto a difendersi dall’accusa di avere tratto non da Kant, bensì da Schelling, molti significativi elementi del suo sistema6.
La metafora del sistema filosofico come organismo è molto importante per comprendere il rapporto di Schopenhauer con il pensiero di Schelling. L'esigenza di conoscere l'essenza del mondo era motivata da un'istanza etica. Soltanto la conoscenza poteva consentire all'uomo di “salvare” se stesso dal dominio assoluto della volontà: «lo scopo della vita ... è la conoscenza del volere. La vita è lo specchio della volontà ... ; attraverso quella conoscenza il volere può mutare e il riscatto è possibile»7. In questa prospettiva l'unità organica del sistema imponeva che la questione della salvezza venisse estesa dall’etica all’estetica e alla conoscenza della natura. Caratteristica di quest’ultima era il suo confinamento nel mondo dei fenomeni. Le scienze applicano il principio di ragione sufficiente, ossia la legge di causalità, e per questo motivo è loro preclusa la conoscenza della cosa in sé. Tuttavia, poiché tutto il mondo è fenomeno della cosa in sé, il sapere scientifico ha un legame indiretto con la volontà, e quindi deve avere “un rapporto” con la conoscenza metafisica8.
La lettura delle opere di Schelling mostrò a Schopenhauer il percorso da seguire per affrontare la questione della relazione tra scienza e metafisica: l’elaborazione di una filosofia della natura. La quale definiva il nesso intercorrente tra forme naturali e cosa in sé, e quindi poteva giungere anche a stabilire la relazione tra conoscenza delle forme naturali e metafisica. Il progetto schellinghiano di una filosofia della natura era da prendere a modello per l'indagine sul rapporto tra scienza e metafisica e, conseguentemente, per elaborare la filosofia come sistema organico.
La riflessione che portò alla stesura di Die Welt als Wille und Vorstellung, tuttavia, convinse Schopenhauer che era necessario prendere le distanze da Schelling. La concezione della filosofia della natura poteva rappresentare un modello formale, ma la sua realizzazione conteneva troppi errori per essere accettata. Tra questi, uno dei più gravi era quello di avere confuso la filosofia con la scienza. In Ideen zu einer Philosophie der Natur Schelling aveva dichiarato che la filosofia della natura doveva essere «un sistema definito dell'intera esperienza»9. Ma questo, domandò Schopenhauer, non è forse qualcosa di essenzialmente diverso dalla filosofia, che è «la scienza di ciò che non è esperienza»?10 Sono le scienze naturali, non la filosofia della natura, a doversi occupare dell'esperienza. E poiché la loro conoscenza si arresta alla definizione delle forze naturali, l'essenza delle forze rimane oscura. Proprio qui, allora, deve intervenire la metafisica, con la spiegazione dell'essenza in termini di volontà11. La filosofia della natura spiega che la forza individuata dalla ricerca scientifica è la manifestazione fenomenica della volontà, con la dottrina secondo la quale le forme naturali sono “oggettivazioni” della volontà.
2. L’incontro con Schelling
La presenza di una filosofia della natura, all'interno del sistema di Schopenhauer, è connessa all'importanza rivestita all’epoca dalla filosofia della natura di Schelling12. Negli anni della sua formazione, a partire dal 1809, quando si iscrisse all'università di Gottinga, Schopenhauer ebbe modo di riconoscere il ruolo culturale e filosofico della speculazione schellinghiana. E proprio per questo avvicinò le opere di Schelling fin dall’inizio del suo interesse per la filosofia.
L'apprendistato filosofico di Schopenhauer si svolse negli anni 1810-1811 sulle opere di Platone e di Kant. Le ricerche di Hübscher hanno mostrato qualcosa di meno noto: la lettura delle opere schellinghiane dedicate alla filosofia della natura poco prima dell’incontro con Kant. Ancora digiuno di Kant, ma già fortemente impressionato da Platone, il giovane studente prese in prestito dalla biblioteca di Göttingen le Ideen zu einer Philosophie der Natur (1797) e Von der Weltseele (1798)13. Probabilmente, lesse anche lo Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie (1799), dato che l’opera venne citata negli appunti su Kant iniziati nell'autunno 181114. Secondo Hübscher, la forte influenza di Platone avrebbe indotto Schopenhauer a sopravvalutare il platonismo dei primi due testi, e a riconoscerli come affini alle sue nascenti inclinazioni filosofiche. Inoltre, non va trascurato un dato storico. In quel momento Schopenhauer era ancora iscritto alla facoltà di medicina, ovvero era un aspirante cultore delle scienze che si stava orientando verso la filosofia. La lettura di Schelling, nell’ignoranza di Kant e del dibattito postkantiano, gli mostrò quello che, negli anni immediatamente precedenti, era apparso a molti scienziati, a loro volta divenuti sostenitori e seguaci della filosofia della natura: un approccio stimolante alla questione del rapporto tra scienze e filosofia; uno strumento potente per portare la linfa del pensiero nelle altrimenti aride discipline scientifiche.
La successiva lettura di Kant riorientò l’interpretazione di Schelling, che tuttavia rimase uno degli autori più letti e discussi dal giovane Schopenhauer. E’ quanto dimostra lo studio iniziato nell’autunno 1811, quando decise di iscriversi alla facoltà di filosofia di Berlino15. Schopenhauer affrontò allora il dialogo Bruno oder über das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge (1802). Gli fece seguito il primo volume delle Philosophische Schriften, nel quale sono raccolti alcuni testi, che vanno dal cosiddetto periodo “fichtiano” fino al saggio sulla libertà del 180916. Nel 1812 rilesse i libri dedicati alla filosofia della natura: le Ideen zu einer Philosophie der Natur (nella seconda edizione del 1803) e la Weltseele (1798). E poi gli scritti del primo decennio dell’Ottocento, tra cui il System des transzendentalen Idealismus (1800). Non è certa la data in cui lesse altri due contributi schellinghiani alla filosofia della natura, gli Aphorismen zur Einleitung in die Naturphilosophie (1806) e gli Aphorismen über die Naturphilosophie (1806), ma la grafia delle note a margine sembra quella degli anni giovanili17. Altrettanto incerto è l’incontro con i testi dedicati alla riflessione sul rapporto tra filosofia e scienze, pubblicati nella schellinghiana «Zeitschrift für spekulative Physik». Con un riferimento alle lezioni schellinghiane del 1842 a Berlino, una glossa alla Darstellung meines Systems der Philosophie (pubblicata nel 1801, nel secondo volume della rivista) suggerisce una rinnovata attenzione di Schopenhauer per la Naturphilosophie, trent’anni dopo18.
Da questi dati si possono trarre almeno due indicazioni significative: la prima è che, anteriormente al 1819, il giovane Schopenhauer approdò a una conoscenza quasi completa della filosofia schellinghiana, fino allo scritto sulla libertà del 1809; la seconda è che, anche molti anni dopo gli studi universitari, riprese a leggere Schelling, proprio mentre era sollecitato a tornare a riflettere sulla filosofia della natura, in occasione della seconda edizione di Die Welt als Wille und Vorstellung (1844) e della stesura dei Parerga und Paralipomena (1851).
3. Schelling alla luce di Kant
Il duraturo interesse per Schelling mostra che Schopenhauer non fu animato soltanto da un intento polemico. E’ vero, però, che a un certo punto, l’originaria ammirazione per la filosofia della natura cambiò di segno: prevalse la critica, e Schelling divenne oggetto di forte contestazione. Ciò accadde nel 1812, dopo un doppio confronto con l’opera di Kant e con i testi schellinghiani precedenti e seguenti la trilogia del 1797-99, dedicata alla filosofia della natura. Le Ideen zu einer Philosophie der Natur e la Weltseele, infatti, vennero sottoposte a una nuova lettura, filosoficamente più accorta, soltanto dopo l’incontro con Kant e con le altre opere schellinghiane.
In questo momento della sua formazione Schopenhauer cominciò a prendere le distanze da Schelling. La conoscenza del criticismo svolse un ruolo fondamentale. Altrettanto rilevante fu l’incontro con Fichte nelle lezioni berlinesi del 1811-12. Leggere Schelling e ascoltare Fichte, immediatamente dopo avere studiato Kant, indusse il giovane aspirante filosofo a giudicarli negativamente: traditori della filosofia critica, nella lettera e nello spirito. Negli anni seguenti il disaccordo sarebbe diventato qualcosa di peggio – addirittura odio personale - , confluendo in quelle pagine aspre, nei Parerga, contro la filosofia delle università19.
Nel 1812 Schopenhauer cambiò idea riguardo ai meriti degli idealisti postkantiani. Si era trasferito a Berlino per diventare filosofo sulle orme di un grande maestro, quale Fichte era considerato all’epoca. Ma a lezione, amareggiato, constatò che la dottrina della scienza (Wissenschaftslehre) altro non era che il «vuoto della scienza» (Wissenschaftsleere)20. Analogamente, era stato conquistato dal progetto schellinghiano di filosofia della natura: ma dopo lo studio sistematico delle altre opere, giudicò che anche una buona idea può degenerare e rinnegare se stessa.
In Schopenhauer il dissenso rispetto alla filosofia idealistica è un punto di arrivo, non il fondamento sul quale viene eretto il sistema di Die Welt als Wille und Vorstellung. Nel prendere le distanze da Schelling il giovane Schopenhauer scelse di percorrere una strada autonoma, ma non rinnegò gli originari elementi che gli erano sembrati convincenti. Anzi, cercò di recuperarli all’interno della sua filosofia della natura. Questo dialogo continuo, pur nel dissenso, è sfuggito anche a coloro che hanno riconosciuto la presenza di motivi schellinghiani nella filosofia della volontà21.
L’originario interesse positivo per la filosofia idealistica scaturì dalla riflessione su alcuni aspetti delle opere di Kant, tra cui fondamentale fu quello della cosa in sé. Alcuni passi della prima edizione di Die Welt als Wille und Vorstellung, poi espunti dalle successive edizioni, criticano Kant per aver drasticamente ridimensionato la portata della sua rivoluzione copernicana. Il ricorso alla causalità per sostenere che l'esistenza degli oggetti dell'esperienza dipende dalla loro esistenza in sé, fuori dell'esperienza, costituisce per Schopenhauer una grave violazione del criticismo e un ritorno al dogmatismo. Una volta riconosciuta l'esistenza di oggetti in sé, viene posto nuovamente il dualismo, con la distinzione tra mondo fenomenico e mondo delle cose in sé22.
Su tale questione Schopenhauer trovò immediata sintonia con gli idealisti postkantiani. Ma l’approfondimento della conoscenza di Fichte e Schelling lo deluse. La loro battaglia contro il dualismo li aveva portati a proclamare il primato ontologico del soggetto. Invece di sviluppare il criticismo, essi avevano sostituito una concezione dogmatica, il realismo metafisico, con un’altra, l’idealismo metafisico.
Riguardo alle questioni concernenti la filosofia della natura il percorso fu analogo, ma con una differenza rilevante: su questi temi il dissenso rispetto a Kant fu molto più accentuato. Schopenhauer riconobbe che, con la Kritik der Urtheilskraft (1790) e i Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786)23, Kant aveva posto la basi per la definizione e la ricerca di una filosofia della natura. Della terza Critica apprezzò l’intenzione di elaborare una concezione delle scienze della vita autonoma rispetto alla meccanica. Ma gli sembrò che Kant fosse indeciso sulla strada da percorrere, e che i suoi argomenti fossero imposti da esigenze di «simmetria architettonica»24. Ad esempio, per Kant la relazione generativa e organizzativa che regola la struttura del vivente indicava un ordine causale del tutto diverso da quello della meccanica. Eppure aveva ammesso la possibilità che, un giorno, il progresso delle conoscenze riconducesse la causalità finale alla causalità efficiente25.
Schopenhauer elaborò una concezione molto più forte dell'irriducibilità delle forze organiche a quelle inorganiche, e al tempo stesso sviluppò un’idea originale della causalità finale. La sua immagine del mondo vivente si fonda sulla nozione di una forza vitale, oggettivazione della volontà, che agisce nel mondo fenomenico secondo il principio di causalità efficiente. La materia organica può essere analizzata e scomposta dalla chimica, ma la forza vitale non può essere spiegata dalla forza di gravità. Di conseguenza, non è necessario introdurre la nozione di fine per spiegare l'organismo vivente, poiché la causalità è una soltanto. Già nel 1814 Schopenhauer aveva raggiunto questa convinzione: «una causa finale esiste solo per la ragione, ma non per l'intelletto: ossia, una causa finale è la rappresentazione di una rappresentazione essa stessa impossibile. Ossia, io posso avere il concetto di una causa finale, poiché altrimenti non potrei qui esprimerlo: ma non posso rappresentarmi intuitivamente un oggetto per il quale non mi sovvenga assolutamente di cercare la sua derivazione da un altro»26.
La critica schopenhaueriana ai Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786), elaborata fin dal 1811, fu altrettanto dura. L'errore di Kant era stato di proporre i principi a priori della scienza tramite la dimostrazione, senza rendersi conto che l'a priori non è dimostrabile. Il conoscere a priori è piuttosto un cogliere, e come tale non coinvolge un'astrazione, ma una cosa. L'a priori è un Gefühl, poiché ogni concetto di questo genere «per mezzo della ragione tocca ogni cosa che non è concetto astratto»27.
Il rifiuto del procedimento dimostrativo kantiano revoca in dubbio i contenuti delle scienze che discendono dai principi a priori. Contesta la distinzione tra spazio relativo e spazio assoluto28. Ancora più incomprensibile sembra a Schopenhauer la nozione di «spazio mobile»29. Non accetta le definizioni di materia e movimento, e quindi rigetta l'intera foronomia e la dimostrazione kantiana della terza legge della meccanica, il principio di azione e reazione30. Ma il dissenso essenziale è nei confronti della nozione di attrazione e repulsione, il nucleo del dinamismo kantiano: «le forze di attrazione e repulsione di Kant sono mere espressioni del fenomeno». Se, come dice Kant nei teoremi V e VI della dinamica, l'esistenza della materia richiede una forza di attrazione bilanciata da una forza di repulsione, come può esserci una manifestazione separata delle due forze?31
Come Kant, Schopenhauer ritiene che il dinamismo sia migliore dell'atomismo - una pessima dottrina metafisica malamente usata dagli scienziati. Eppure la fondazione dinamica della materia presenta più di un punto da emendare. Quando nel 1814 ritornò sull'argomento, insistette sulla distinzione della nozione di materia da quella di forza. La materia è da considerarsi manifestazione della causalità, mentre le forze sono soltanto cause sconosciute di effetti noti. La materia può essere conosciuta attraverso le sue azioni, manifestazioni delle forze agenti nella materia stessa, ma non è l'effetto dell'azione dell'attrazione e della repulsione. Anzi - precisa Schopenhauer - soltanto «l'agire meccanico della materia» è riducibile alle due forze, ma non le sue manifestazioni «qualitative o chimiche»32.
Questa distinzione aprì la strada a una riflessione generale sulla filosofia della natura. Nella materia agiscono forze che per la scienza sono qualità occulte. La ricerca scientifica può scoprire la regola che ordina le loro manifestazioni nel mondo dei fenomeni, la legge naturale, ma non può dire che cosa siano33. Schopenhauer riconosceva che la conoscenza della legge di gravitazione consente alla meccanica di essere giudicata più accettabile della termologia, per la quale nessuna legge certa ha ancora sostituito le polemiche sull'esistenza del calorico. Ciò non significa però che il calore o il magnetismo o le trasformazioni chimiche debbano essere studiati secondo i modelli e le leggi della meccanica.
Con la critica alla fondazione dinamica della materia, Schopenhauer si mostrò sensibile all’esigenza che stava al cuore del progetto schellinghiano di filosofia della natura: la costruzione di una concezione unitaria della natura. Lo scopo era il confronto fruttuoso tra filosofia e scienze, capace di dare vita a una sintesi che impregnasse di senso tutti i fenomeni della natura, inorganica e organica.
4. Oltre Schelling
Nel suo primo approccio alla filosofia della natura e nel successivo incontro con Kant, Schopenhauer comprese che Schelling aveva cercato di proseguire l’indagine kantiana sul rapporto tra la filosofia e le scienze, specialmente là dove la soluzione kantiana appariva meno convincente. La dottrina dell'a priori aveva garantito la fondazione della matematica e delle scienze matematizzate, ma escludeva la chimica e le scienze della vita: ciò avrebbe impedito la realizzazione di un sistema filosofico in grado di portare in sé le verità delle scienze.
La filosofia della natura era apparsa a Schopenhauer un modello per giungere alla fondazione filosofica delle scienze e all’integrazione delle verità scientifiche con le verità filosofiche. Ma una più approfondita lettura delle opere di Schelling gli mostrò la degenerazione del progetto. Negli sviluppi successivi del pensiero di Schelling, dalla filosofia dell’identità allo scritto sulla libertà, Schopenhauer non riuscì più a individuare il germe seminato nella filosofia della natura. Anche l’esame delle tesi schellinghiane, alla luce dei più recenti risultati della ricerca in campo scientifico, lo deluse. In esse vide un eccesso di speculazione e la pretesa di una generalizzazione infondata: «la filosofia della natura vera e propria, prodotta da Schelling per primo, è solo un raccogliere somiglianze e opposizioni nella natura: considerazione che è interessante in sé e può divenire utile qua e là, ma che non costituisce mai una filosofia»34.
Schopenhauer giunse così a giudicare negativamente i contenuti della filosofia della natura. Trovò contraddittoria la concezione dell’assoluto35. L’intuizione intellettuale, quale strumento privilegiato della conoscenza filosofica, e la «costruzione» lo indussero a vedere in Schelling un traditore dello spirito kantiano, capace, al più, di sviluppare i temi discutibili della dottrina kantiana. Come ha messo in luce Valerio Verra, il tema della «costruzione» nell' Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie favorì il recupero delle concezioni dei Metaphysische Anfangsgründe36, ossia una delle opere kantiane più criticate dal giovane Schopenhauer. Inoltre, come è precisato in Die Welt als Wille und Vorstellung, la costruzione era espressione di uno dei due errori contenuti nella filosofia dell'identità, cioè trarre il soggetto fuori dall'oggetto37. Per questi motivi «l'intera dottrina schellinghiana è da rifiutare per la stessa ragione della dogmatica di Wolff: ossia poiché fa un uso trascendente delle categorie e delle leggi della pura sensibilità»38.
Non per questo, però, Schelling poteva essere ignorato. I suoi errori contenevano barlumi di verità, come nel caso dell’analogia. Tutto, in natura, presenta una «inconfondibile» analogia, dato che tutto è oggettivazione di un’unica volontà: «l'oscura conoscenza di ciò diede probabilmente origine alla Kabbala e a tutta la filosofia matematica di pitagorici e cinesi: e anche la scuola schellinghiana, nel suo sforzo di mostrare le analogie tra tutte le apparenze della natura, tentò, benché spesso malamente, di derivare le leggi della natura dalle pure leggi dello spazio e del tempo»39.
Schopenhauer, dunque, era disposto a collocarsi in una tradizione monistica che aveva Schelling tra i suoi ultimi adepti. L’uso dell’analogia andava rifiutato nella forma schellinghiana, ma non era eliminabile dalla vera filosofia. Schopenhauer se ne rese perfettamente conto, quando decise di indagare il concetto di oggettivazione della volontà e quando impiegò l'analogia per connettere scienza e metafisica. Nella sua concezione della filosofia come indagine sull'essenza del mondo, la natura rappresentava l'insondabile, ciò che è esterno alla creatività umana. La scienza poteva spiegarla secondo il principio di ragione, ma non poteva esprimere l'unità del mondo e il legame tra uomo e natura. Per questo era necessario fondare una filosofia della natura, anche se questo tentativo nascondeva numerose insidie, come gli eccessi dei filosofi della natura mostravano.
Gli errori della speculazione schellinghiana potevano essere evitati, cogliendo il rapporto autentico tra scienza e metafisica. Questa convinzione venne anche alimentata dalla fiducia in una ricerca scientifica non schiacciata sull’empiria ma filosoficamente orientata, quale quella appresa a Gottinga da un grande scienziato come Johann Friedrich Blumenbach, o a Weimar dalla frequentazione di Goethe. Ma ciò non lo portò a contestare la funzione che, a suo parere, Schelling aveva attribuito alla filosofia della natura all'interno del sistema. Per Schopenhauer, come per molti studiosi della sua epoca, la filosofia della natura era una costruzione filosofica che cresceva sul terreno della scienza e che dava un nuovo valore alla scienza medesima. Purtroppo, nei suoi sviluppi successivi, la costruzione aveva perso molti dei suoi legami vitali con la conoscenza empirica. Ciò l'aveva condotta a ripiegarsi sterilmente su se stessa, e la concezione della volontà oggettivata aveva lo scopo, e il merito, di ridare nuova vita a un progetto deteriorato ma fondamentale.
La filosofia della natura di Schopenhauer guardò all’ideale di unità del sapere che la filosofia della natura di Schelling aveva formulato, stimolata dalla speculazione kantiana. Ovviamente, la concezione unitaria della natura, organica e inorganica, doveva allontanarsi da Schelling ma al tempo stesso respingere le pretese di ogni riduzionismo. L'idea di oggettivazione della volontà gli parve rispondere a entrambe le esigenze. L'unità della natura poteva essere positivamente affermata soltanto sul piano metafisico, mentre sul piano scientifico era visibile in negativo, a causa della manifesta impossibilità di spiegare le forze sia nel mondo organico sia in quello inorganico. La scienza aveva senso e legittimità soltanto all'interno della sfera del principio di ragione40. In questa dimensione l'unità di organico e inorganico era esprimibile soltanto figurativamente e per via analogica: «l'organismo umano è la materia che si trova più vicina al soggetto, gli altri sono sempre più lontani, in certo qual modo meno udibili, e la più morta materia è la più lontana dal soggetto, e appena un flebile ricordo di essa giunge al soggetto stesso»41.
Questa concezione della scienza, che è presente in tutte le opere di Schopenhauer, venne formulata negli anni 1814-15. Egli replicò alle spiegazioni «münchausiane» (questa la definizione schopenhaueriana) offerte dal materialismo e dall'idealismo a proposito del rapporto tra conoscenza e natura42. Rappresentò l’affermazione di una «buona» scienza, capace di vedere, ma non di percorrere, la strada della buona metafisica, che è la strada della verità.
5. La correzione del sistema dell’identità
L'idea schopenhaueriana di un sistema monistico, fondato su una concezione dinamica e organicistica della natura, trovò il suo modello in un’interpretazione originale della filosofia della natura. Nel corso della riflessione sulla dottrina kantiana, l'incontro con Schelling chiarì al giovane studente la necessità di prendere congedo da Kant. Nella sua opera, secondo Schopenhauer, era mancata una filosofia della natura, e ciò aveva condotto alla costruzione di un sistema inconcluso, che per reggersi aveva dovuto affidarsi alla costruzione architettonica. Invece la concezione di Schelling, con l'annullamento dell'opposizione tra vivente e non vivente, tra spirito e natura, aveva mostrato il punto di partenza per un sistema organico, espressione dell'unico vero pensiero.
L’interesse con il quale Schopenhauer continuò a guardare alla filosofia della natura, anche dopo avere preso le distanze da Schelling, scaturì da una interpretazione analoga a quella che lo indusse a equiparare le idee di Platone alle cose in sé di Kant, e a impiegare tali concetti nella sua filosofia43. Schopenhauer distinse nettamente tra il modello originario di filosofia della natura e le sue articolazioni nelle opere schellinghiane del primo decennio dell’Ottocento. Trascurò i nessi tra filosofia della natura, filosofia dell’identità e suoi successivi sviluppi; proprio per questo giunse a esprimere un giudizio negativo sul pensiero schellinghiano, senza rinunciare a usare elementi fondamentali della sua filosofia della natura, quali polarità, natura come organismo, Stufenfolge, produzione come conflitto della natura (volontà) con se stessa.
In un testo redatto alla fine del 1821, si trova formulata esplicitamente la corrispondenza tra la coppia volontà e rappresentazione e la coppia spirito e natura. La prima è l'autentica descrizione della realtà, la seconda va intesa come la sua traduzione, a un livello più basso, nei sistemi filosofici dualistici. Il merito di Schelling era stato quello di avere riconosciuto l'identità di spirito e natura, e quindi di avere contrastato il dualismo; il suo errore era stato quello di avere individuato tale identità nell'assoluto, invece che nella volontà44.
Qui viene in luce l’affinità tra i due pensatori ma anche la distanza che li separa. Schopenhauer vide nel superamento del dualismo cartesiano il passo necessario per completare la rivoluzione copernicana di Kant, per realizzare compiutamente il criticismo e per bandire il dogmatismo. Schelling aveva dato un contributo importante, con la teorizzazione di un sistema monistico; ma di quel mondo liberato dal dualismo ontologico non aveva saputo cogliere l'essenza. La quale era necessariamente attività originaria e produttiva, ma non poteva coincidere con l'io o con l'assoluto. Alla volontà, non al soggetto che ponendo se stesso si fa oggetto, si deve attribuire l'attività originaria.
Così interpretata, la dottrina schopenhaueriana appare affine a quella di Schelling, addirittura un suo sviluppo: è la correzione del sistema dell'identità. Questa impressione si fa ancora più forte se si confronta la struttura del System des transscendentalen Idealismus con quella di Die Welt als Wille und Vorstellung. Svelato il “principio originario”, nei due testi vengono svolte le trattazioni della filosofia della natura, dell'etica e dell'estetica. Schelling mostra che l'oggettività assoluta si realizza nell'arte, e che questa realizzazione passa attraverso la reinterpretazione della natura come «odissea dello spirito»45. Il medesimo percorso appare nel testo di Schopenhauer, per il quale, però, lo “spirito” va sostituito dalla “volontà”. Nonostante il rifiuto dei procedimenti unificanti, che nel lessico schellinghiano avevano il nome di deduzione e intuizione intellettuale, l’esito fu l'unificazione di filosofia della natura e filosofia dell'arte. Come chiarì un testo del 1815, poi rielaborato nel paragrafo 39 di Die Welt als Wille und Vorstellung, le definizioni di bello e di sublime potevano essere formulate solo dopo il disvelamento della volontà come essenza46. E la fine del paragrafo 27, dedicato alla spiegazione dell'oggettivazione della volontà in una serie ascendente, esplicitò la continuità tra filosofia della natura, arte e filosofia pratica47.
6. Spiegare il mondo
Nel rapporto che Schopenhauer intrattenne con Schelling affinità e divergenze convivono. Nonostante il rifiuto della possibilità di “dedurre” o “intuire” l'assoluto48, Schopenhauer propose un sistema gerarchicamente ordinato e organicamente chiuso, lontano dall'architettonica kantiana quanto quello di Schelling. Anche in Schopenhauer, la filosofia della natura ebbe un ruolo di raccordo tra la comprensione dell'entità originaria e la realizzazione della conoscenza nell'arte. Ciò appare evidente se si confronta la concezione schellinghiana di differenziazione dell'assoluto con quella schopenhaueriana di «dissidio con se stessa» (Selbstentzweiung) della volontà.
Nella critica alla filosofia dell'identità, svolta nel paragrafo 7 di Die Welt als Wille und Vorstellung, Schopenhauer sostiene che il monismo di Schelling diviene un dualismo proprio quando procede a spiegare il mondo. La contrapposizione tra ragione e volontà come principi primi, nel saggio schellinghiano Ueber das Wesen der menschlichen Freiheit, mostra non solo il fallimento della filosofia dell'identità, ma anche il ritorno al dogmatismo: «sa di vero dualismo, ovvero assunzione di due realtà, il mondo dello spirito e il mondo materiale, che si devono mettere in equilibrio, per cui alla fine risulta un'aristotelica via di mezzo»49. Soltanto la metafisica della volontà mantiene intatto l'autentico monismo, la cui forza consiste nella capacità di spiegare la miriade di forme esistenti nel mondo naturale. Tale capacità riposa sulla nozione di «conflitto della volontà con se stessa».
Nel paragrafo 27 della sua opera Schopenhauer espone l'idea centrale della propria filosofia della natura - il mondo come oggettivazione dell'essenza secondo una gradazione ascendente, fino all'uomo e alla ragione - per mezzo della nozione di «dissidio essenziale con se stessa» della volontà50. L'impulso cieco e «l'oscura, indistinta attività»51, che contraddistinguono il volere fine a se stesso, realizzano la materia, le forze, gli individui, la ragione e la coscienza. Schopenhauer spiega che lo svolgimento di questo processo è possibile grazie alla nozione di «dissidio» della volontà con se medesima. I benevoli riferimenti a Schelling e ai suoi meriti (la scoperta della polarità), nelle pagine che introducono questo concetto52, chiariscono che, con esso, Schopenhauer intende correggere la filosofia dell'identità e il suo ondeggiare tra unità priva di differenziazione e inaccettabile dualismo. E’ vero, come aveva detto Schelling, che «la polarità», cioè «lo sdoppiarsi di una forza in due attività qualitativamente diverse, opposte e tendenti a ricongiungersi ... è tipo fondamentale di quasi tutte le manifestazioni della natura»53. Tuttavia questa lotta non è insita nell'essenza del mondo, bensì fenomeno originario della processualità dell'essenza. Al termine della descrizione dell'oggettivazione nelle molteplici forme dell'esistente, dal non vivente all'uomo e dalle forze fisiche all'intero cosmo, Schopenhauer riformula la spiegazione kantiana della materia in termini di attrazione e repulsione, proprio per chiarire questa fondamentale distinzione. Anche la materia è lotta primordiale tra opposti (spingere e tirare), poiché nel dissidio si manifesta il carattere della volontà54. Grazie all'Entzweiung, il cieco impulso della volontà si manifesta in fenomeni, che realizzano idee sempre più elevate55, fino alla ragione e alla coscienza56.
La definizione della nozione di conflitto della volontà con se stessa è rilevante, non solo per il suo significato nella filosofia della natura schopenhaueriana. E’ anche connessa alla questione posta da Schelling, all’inizio della teoria generale del processo chimico, nella parte conclusiva dell’Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie: «quale causa ha introdotto per la prima volta, nella quiete universale della natura, il germe del movimento, nell'identità universale la duplicità, nell'omogeneità universale della natura la prima scintilla dell'eterogeneità?»57. La risposta di Schopenhauer – nei termini di un dinamismo universale bipolare - è molto simile a quella data da Schelling. Ma la critica è sulla domanda stessa, sull’inutilità filosofica di scoprire la «causa», e sulla necessità di mostrare il principio.
Con la teoria generale del processo chimico Schelling aveva mostrato la possibilità della deduzione a priori del dinamismo universale, che nella Weltseele, invece, era stato mostrato induttivamente58. Come ha rilevato Francesco Moiso, questo era stato il punto di arrivo della filosofia della natura59, che sarebbe poi stato integrato e modificato (anzitutto con la distinzione tra causa e principio) dalla filosofia dell'identità. Da parte sua, Schopenhauer ignorò quello sviluppo e le distinzioni che lo avrebbero accompagnato. Nella sua interpretazione, il dinamismo naturale è racchiuso nel concetto di assoluto e l'assoluto non è altro che la causa prima, posta secondo un procedimento che viola il principio logico di non contraddizione60. Il commento in proposito, lapidario, è più che eloquente: «summa summarum: il mondo è perché è, ed è come è perché così è. Questo è ciò che qui si trova molto in breve, tuttavia Schelling non dice di più»61. Al contrario, la metafisica della volontà spiega perché il mondo è. Inoltre, con la filosofia della natura, spiega anche perché è come è. Il progetto di Schopenhauer è esplicito: con il modello offerto dalla filosofia della natura, e con il recupero di alcuni suoi temi, è possibile elaborare la vera filosofia.
7. Polarità, natura come organismo, teleologia
Guardiamo alla nozione di polarità, così diffusa nel primo Ottocento da rendere ardua l’identificazione di una fonte precisa per il suo impiego da parte di Schopenhauer. Oltre Schelling, un’altra fonte preziosa fu Goethe. In effetti, la polarità schopenhaueriana ha una connotazione più ampia di quella elaborata da Schelling, e la sua dimensione metafisica è riconducibile all’insegnamento goethiano62. Ma proprio nel suo differenziarsi da Schelling, la polarità schopenhaueriana mostra tutto il peso della presenza schellinghiana. La polarità, in Schelling, è la qualità originaria della natura che permette la riduzione dell'infinito al finito63. Questo, agli occhi di Schopenhauer, implica l'appiattimento della spiegazione metafisica sul fenomenico. Proprio per evitare questo esito, la polarità assume valenze nuove. Come dimostrano alcuni passi del Nachlaß, la polarità diventa uno dei nomi per la lotta tra i fenomeni della volontà, è la tensione che dirige l'oggettivazione del volere in forme sempre più elevate64. Come tale, essa non riproduce esattamente il modello schellinghiano di conflittualità potenziale che viene posta in atto dalle forze. Diventa un elemento originario della natura, che precede le forze stesse e che le genera: giunge a toccare la sfera della cosa in sé. Dato che la polarità è un attributo originario della natura nel suo grado più basso, come si dice nel paragrafo 27 di Die Welt als Wille und Vorstellung65, il conflitto esprime il «carattere» della volontà stessa. Di qui deriva la concezione di Selbstentzweiung, con la quale viene spiegato come il mondo è. La struttura polare del dinamismo naturale è la prima manifestazione di un dissidio più reale, il conflitto della volontà con se stessa.
Consideriamo un altro concetto: l’oggettivazione della volontà secondo una gradazione ascendente di forme. E’ la trasposizione della Stufenfolge schellinghiana, la quale, nello Erster Entwurf, rappresenta lo schema dinamico della più generale idea di natura come organismo. Da essa discendono le nozioni di analogia universale tra le forme naturali e di unità essenziale tra scienze e arti66. In Schopenhauer ha una funzione simile, e il suo impiego rimanda espressamente a Schelling. E’ vero che Schopenhauer si preoccupò di leggere Kielmeyer67, la fonte originaria della concezione schellinghiana; tuttavia sarebbe errato sostenere che, in questo modo, la concezione schopenhaueriana maturò indipendentemente da Schelling. Un’osservazione - sulla necessità che i gradi dell’oggettivazione debbano «apparire contemporaneamente»68 - chiarisce l’identità dell’interlocutore di Schopenhauer su questo tema: non Kielmeyer, che con l’idea di Stufenfolge aveva dato luogo a una sintesi tra biologia e paleontologia, e aveva incluso in una dimensione temporale la nozione di gerarchia ascendente delle forme naturali, bensì Schelling, nel cui sistema la temporalità era, agli occhi di Schopenhauer, la resa al fenomenico. Dal punto di vista della cosa in sé, la temporalità è mera apparenza in un mondo di apparenze69. Il tempo, quale elemento centrale e vitale di tutta la filosofia schellinghiana, era una delle nozioni che avevano impedito l’accesso alla cosa in sé. La scelta di escludere la temporalità dal processo di oggettivazione contribuisce, ancora una volta, a emendare Schelling, mostrando il vero rapporto tra fenomeno e cosa in sé.
Veniamo, infine, alla teleologia. In Schopenhauer e Schelling, la questione del finalismo nella natura è posta dall'esistenza di una gradazione ascendente degli esseri. La Stufenfolge, infatti, si realizza in un mondo le cui parti si armonizzano come quelle di un organismo70. La stretta somiglianza, nella determinazione del finalismo, tra Schopenhauer e Schelling dipende dal fatto che entrambi ripresero il nucleo centrale della concezione teleologica di Kant71. Schopenhauer presentò la sua dottrina della teleologia come sviluppo della concezione kantiana, secondo la quale «tanto la finalità dell'organico quanto la regolarità dell'inorganico vengono introdotte nella natura dal nostro intelletto primo fra tutti»72.
Ma la trattazione della finalità, in Die Welt als Wille und Vorstellung, mostra un vero e proprio confronto sotterraneo con Schelling, in particolare sul ruolo che questi aveva assegnato alla teleologia nella filosofia della natura. Nel paragrafo 28 di Die Welt als Wille und Vorstellung, viene spiegato come dalla cosa in sé, la volontà irrazionale, possano discendere spiegazioni razionali secondo il modello teleologico. L'intento di Schopenhauer è di mostrare la potenza esplicativa della sua filosofia della natura, capace di dare ragione delle produzioni naturali e del giudizio teleologico. Poiché la natura è oggettivazione di un'unica essenza, diventa accessibile «la vera spiegazione di quella stupefacente, innegabile analogia di tutte le produzioni della natura», che a sua volta fonda la teleologia. Il finalismo è un'espressione rigorosamente intellettuale, non certo la scoperta di un disegno prodotto da una mente trascendente, ma ha la stessa dignità e la medesima potenza esplicativa della causalità nel mondo inorganico73. Anzi, se alla spiegazione causale si affiancasse quella teleologica, argomenta il capitolo 26 dei Supplementi, le scienze vedrebbero moltiplicate le loro potenzialità esplicative74.
Il riferimento al rapporto tra scienze e filosofia indica chiaramente i termini del confronto critico con la filosofia della natura schellinghiana. L’esito è un giudizio negativo: il sistema schellinghiano non ha saputo individuare l'essenza del mondo e del finalismo, e si è tradotta in una ricerca scientifica incapace di comprendere la realtà. In particolare, Schopenhauer combatte la nozione di forza, così come era stata esposta nelle Ideen zu einer Philosophie der Natur. Per Schelling la forza rappresentava un principio esplicativo, mentre per il suo giovane critico è soltanto una generalizzazione empirica. La tesi schellinghiana portava, a suo parere, a un’indebita identificazione della forza con la cosa in sé, ossia all’esclusione della cosa in sé dall’indagine filosofica75.
D’altra parte Schopenhauer riconobbe l’importanza delle concezioni di Schelling: l’unità di materia e spirito, e quel processo dinamico che aveva riunito meccanicismo e finalismo, e che era stato sviluppato con la nozione di anima del mondo. Il superamento della posizione kantiana era consistito nell'avere mostrato che il fondamento soggettivo del finalismo non implicava una svalutazione della spiegazione teleologica rispetto a quella meccanica. Le tre opere dedicate alla Naturphilosophie avevano chiarito le potenzialità di una prospettiva epistemologica che superava gli stretti confini della meccanica. Schelling era stato in grado di spiegare in un sistema unitario i fenomeni chimici, elettrici, magnetici, luminosi, gravitazionali e biologici, e questo risultato, secondo Schopenhauer, era un passaggio necessario per l’elaborazione della filosofia della natura fondata sulla metafisica della volontà.
Il merito di Schelling era quello di avere evitato sia la riduzione alle forze meccaniche dei fenomeni non meccanici sia l'introduzione del vitalismo per fondare la spiegazione del vivente. Con la nozione di anima del mondo la dicotomia tra vitalismo e meccanicismo è stata definitivamente superata, perché l'inorganico diventa una forma limitata del vivente. La vita non è un elemento aggiunto alla materia, ma la materia è un prodotto della vita76. Nell’Erster Entwurf l'unificazione della natura organica e inorganica passa attraverso la dottrina delle potenze: «le forze organiche, sensibilità, irritabilità, e impulso di formazione, sono tutte ramificazioni di un'unica forza, così come, certamente, nella luce, nell'elettricità ecc., si manifesta, come in suoi fenomeni diversi, un'unica forza»77.
Schopenhauer condivise i risultati epistemologici ai quali la filosofia della natura era giunta, perché considerò essenziale allargare il concetto di scienza oltre i limiti della meccanica. Ai suoi occhi il sistema schellinghiano appariva un tentativo di rilievo e di grande interesse, proprio perché aveva tentato di colmare la lacuna lasciata aperta da Kant78. La lotta di Schopenhauer sia contro il riduzionismo meccanicistico sia contro il vitalismo è emblematica della vicinanza concettuale tra i due pensatori.
8. «Molto di buono e di vero»
L’impiego di concezioni schellinghiane nella filosofia della natura di Schopenhauer non indica mancanza di originalità né inconsapevole convergenza di idee con un pensatore ritenuto nemico dell’autentico filosofare. Al contrario: Schopenhauer sviluppò la filosofia della natura sul modello di quella schellinghiana al fine di mostrare la superiorità del suo sistema.
Nel Supplemento all'introduzione delle Ideen zur einer Philosophie der Natur, Schopenhauer ritenne di avere trovato il «nucleo» della dottrina schellinghiana: la filosofia come scienza assoluta, l'identità di assoluto-ideale e assoluto-reale, l'assoluto come eterno atto cognitivo e come eterna attività79. Nell’opera trovò anche la versione schellinghiana della natura come oggettivazione della volontà, laddove Schelling aveva scritto che la natura fenomenica è «incarnazione dell'essenza nella forma apparente»80. I commenti del giovane studente furono sprezzanti, come si può evincere dalla secca annotazione («vento su vento») scritta sopra le pagine dedicate alla dottrina dell'assoluto81. Eppure resta anche l'ammissione che nel testo si può trovare «molto di buono e di vero»82.
Il difficile rapporto con Schelling non impedì a Schopenhauer di rimanere fortemente impressionato innanzi alle potenzialità teoretiche della filosofia della natura. Gli errori di Schelling, secondo il suo interprete, andavano attribuiti all'indebita estensione di generalizzazioni valide solo entro l'ambito fenomenico e all'incapacità di riconoscere che l’essere reale è la volontà. Questa posizione è perfettamente compendiata da un commento al System des transzendentalen Idealismus: «non distingue i due grandi e unici aspetti della vita, dei quali uno è sommamente serio, l'altro sommamente comico: quello è il reale, la volontà in ogni individuo; questo è ciò che avviene, gli eventi del mondo, il futile»83.
Schelling aveva sbagliato perché aveva ridotto la filosofia a una poderosa riflessione sull'aspetto futile della realtà e aveva confuso lo scopo della metafisica con quello della scienza. Questa incapacità di distinguere i ruoli, però, aveva anche i suoi meriti, perché aveva comportato una riconsiderazione nuova dei compiti della scienza e dell'opportunità che la scienza stessa potesse correlarsi alla filosofia. Da qui scaturiva la valutazione schopenhaueriana dell'importanza della filosofia della natura e della necessità di mitigarne gli eccessi, degenerati «in pura sottigliezza»84. Lo scopo di Schopenhauer fu di correggere un sistema di filosofia della natura di grande valore, ma con molti difetti, per adattarlo all'unica vera metafisica. L'originalità della sua filosofia consisteva nell'avere ristabilito l'autentico rapporto tra realtà e apparenza e nell'avere sciolto l'enigma del mondo. Con questa convinzione Schopenhauer fu disposto a riconoscere i meriti dei suoi predecessori e a farli risaltare all'interno della dottrina della volontà. Schelling era giunto alla sommità del sapere oggettivo, e quindi doveva essere presente nel sistema che esprimeva l'unica vera filosofia.
1 Cfr. W. Lubosch, Über den Würzburger Anatomen Ignaz Döllinger, eingeleitet und abgeschlossen durch Erörterungen über Schopenhauers Evolutionismus, «Jahrbuch der Schopenhauer-Gesellschaft», IV, 1915, pp. 105-27; A. Hübscher, Lessing - Schelling - Frauenstädt. Unbekannte Randschriften Schopenhauers, «Schopenhauer-Jahrbuch», LXIII, 1982, pp. 1-21; Kielmeyers Manuscripte, «Schopenhauer-Jahrbuch», LXIV, 1983, pp. 154-61. Sulla relazione di Schopenhauer con Döllinger e Kielmeyer cfr. M. Segala, Fisiologia e metafisica in Schopenhauer, «Rivista di filosofia», LXXXV, n. 1, 1994, pp. 53-54 e 63-65.
2 A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Leipzig, Brockhaus, 1819, in Werke in fünf Bänden (a cura di L. Lütkehaus), Zürich, Haffmans TaschenBuch, 1991, vol. I, p. 7, trad. it. di P. Savj-Lopez e G. De Lorenzo con il titolo Il mondo come volontà e rappresentazione, Roma-Bari, Laterza, 1982, p. 3. La questione delle modalità dell'esposizione del sistema era già stata affrontata da Schopenhauer nel 1816 e nel 1817, e anche qui, l'organicità del sistema venne contrapposta alla struttura architettonica delle altre filosofie. Cfr. A. Schopenhauer, Der handschriftliche Nachlaß in fünf Bänden (a cura di A. Hübscher), München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1985, vol. I: Frühe Manuskripte (1804-1818), § 572, pp. 386-87, e § 688, p. 480.
3 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 7, trad. it. cit., pp. 3-4.
4 Nachlaß, vol. I, § 572, p. 386 n.
5 Nachlaß, vol. I, § 572, p. 387. L'argomento fu ripreso più volte: una riflessione del 1838, rimasta manoscritta, insiste sul fatto che le tradizionali partizioni della filosofia - metafisica della natura, dei costumi e del bello - non devono trascurare «nella loro unità la spiegazione dell’essenza delle cose e dell’essere» («in ihren Zusammenhang die Erklärung der Wesen der Dinge und des Daseyns»: Spicilegia, p. 104, in Schopenhauers Handschriftlicher Nachlass, vol. X: ho consultato la copia dei manoscritti conservata presso lo Schopenhauer-Archiv di Francoforte).
6 Cfr. le lettere al discepolo inglese David Asher, in A. Schopenhauer, Gesammelte Briefe (a cura di A. Hübscher), Bonn, Bouvier, 1978, pp. 405-406 (12 novembre 1856) e p. 454 (15 aprile 1859): contesta l’appellativo di “schellinghiano” e respinge l’accusa secondo la quale il Wille sarebbe la trasposizione dello schellinghiano Wollen ist Urseyn. Già nel 1837, comunque, il filosofo rivendicò, in un documento restato manoscritto, l'indipendenza della sua dottrina da quella di Schelling (Spicilegia, p. 17, in Schopenhauers Handschriftlicher Nachlass, vol. X).
7 Nachlaß, vol. I, § 274, p. 167.
8 Nachlaß, vol. I, § 467, p. 306 espone tale argomentazione e chiarisce che la conoscenza scientifica deve avere «una relazione con la volontà» («eine Beziehung auf den Willen»).
9 Faccio riferimento alla seconda edizione dell’opera, posseduta da Schopenhauer e annotata in corrispondenza di questo passo: cfr. F. W. J. Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur. Als Einleitung in das Studium dieser Wissenschaft, 2° ed., Landschutt, Krüll, 1803, p. V, in Schellings Werke (a cura di M. Schröter), München, Beck - Oldenbourg, 1927-59, vol. I, p. 656.
10 A. Schopenhauer, Der handschriftliche Nachlaß in fünf Bänden cit., vol. II: Kritische Auseinandersetzungen (1809-1818), p. 315.
11 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 128-30, trad. it. cit., pp. 131-33.
12 La letteratura sull’argomento è ampia, e per lo più dedicata all’importanza della filosofia della natura per discipline o studiosi considerati singolarmente. Un interessante studio generale è offerto da D. von Engelhardt, Naturphilosophie im Urteil der ‘Heidelberger Jahrbücher der Literatur’ 1808-1832”, «Heidelberger Jahrbücher», XIX, 1975, pp. 53-82.
13 Cfr. Nachlaß, vol. II, pp. xxix e 432-33; A. Hübscher, Denker gegen den Strom. Schopenhauer: gestern - heute - morgen, Bonn, Bouvier, 1973, p. 112, trad. it. di G. Invernizzi con il titolo Arthur Schopenhauer: un filosofo contro corrente, Milano, Mursia, 1990, p. 106.
14 Nachlaß, vol. II, p. 254 n.
15 La cronologia della lettura delle opere schellinghiane è stata ricostruita da A. Hübscher: cfr. Nachlaß, vol. II, p. xxix e pp. 304-40.
16 F. W. J. Schelling, Philosophische Schriften, Landschut, Krüll, vol. I, 1809, che contengono: Vom Ich als Prinzip der Philosophie, oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (1795), Philosophische Briefe über Dogmatismus und Kritizismus (1795), Abhandlungen zur Erläuterung des Idealismus der Wissenschaftslehre (1796), Ueber das Verhältniss der bildenden Künsten zu der Natur (1807), e Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit (1809).
17 Questa è l'opinione di Hübscher in A. Schopenhauer, Der handschriftliche Nachlaß in fünf Bänden cit., vol. V: Randschriften zu Büchern, p. 263. I due testi schellinghiani apparvero negli «Jahrbücher der Medecin als Wissenschaft. Verfasst von einer Gesellschaft von Gelehrten und herausgegeben durch A. F. Marcus und F. W. J. Schelling», I, Tübingen, Cotta, 1806, rispettivamente nel primo fascicolo, pp. 1-74 e nel secondo fascicolo, pp. 3-36.
18 Nachlaß, vol. V, p. 189.
19 A. Schopenhauer, Ueber die Universitätsphilosophie, in Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften, vol. I, Berlin, Hayn, 1851, in Werke cit., vol. IV, pp. 139-199.
20 Nachlaß, vol. I, § 112, p. 74.
21 Le concezioni schellinghiane vengono infatti giudicate inessenziali, per lo sviluppo della metafisica della volontà, proprio in ragione della critica a Schelling. Cfr. G. Invernizzi, Schopenhauer e la filosofia di Schelling, «Acme», 37, 1984, pp. 99-145; I. Vecchiotti, Schopenhauer e Schelling: problemi metodologici e problemi di contenuto, «Schopenhauer-Jahrbuch», LXVIII, 1987, pp. 82-108; e Sviluppo e senso delle annotazioni schopenhaueriane a Schelling, «Schopenhauer-Jahrbuch», LXIX, 1988, pp. 425-37; LXX, 1989, pp. 161-73. Entrambi gli studiosi illustrano la vicinanza concettuale tra i due filosofi, ma non sono disposti a interpretarla come un debito intellettuale che Schopenhauer contrasse nei confronti del pensiero schellinghiano.
22 Cfr. A. Schopenhauer, Sämtliche Werke (a cura di A. Hübscher), 3° ed., Wiesbaden, Brockhaus, 1972, vol. VII, pp. 105-108.
23 Schopenhauer possedeva i Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (Riga, Hartknoch, 1786) e le edizioni seconda e terza della Critik der Urtheilskraft, (Frankfurt und Leipzig, 1792 e Lagarde, 1799).
24 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 672-76, trad. it. cit., pp. 681-84.
25 Cfr. i §§ 77-78 della Critik der Urtheilskraft.
26 Nachlaß, vol. I, § 335, pp. 208-209.
27 Nachlaß, vol. II, p. 301 e Nachlaß, vol. I, § 677, p. 473. L'argomento venne ripreso in Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 112-13, trad. it. cit., pp. 113-14.
28 In una breve nota del 1812, mostrò l'impossibilità logica della nozione di movimento nello spazio assoluto: cfr. Nachlaß, vol. I, § 53, p. 29.
29 Nachlaß, vol. II, p. 251: il riferimento è ai Metaphysische Anfangsgründe cit., p. 1.
30 Nachlaß, vol. II, pp. 251-53 e 300-301: il riferimento è ai Metaphysische Anfangsgründe cit., p. 121.
31 Nachlaß, vol. I, § 629, p. 427. Cfr. Kant, Metaphysische Anfangsgründe cit., pp. 52 e 57; Nachlaß, vol. II, pp. 253-54.
32 Nachlaß, vol. II, p. 299.
33 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 129, trad. it. cit., p. 130.
34 Nachlaß, vol. I, p. 362: § 542.
35 Esemplari sono le considerazioni schopenhaueriane su Philosophie und Religion: in particolare, cfr. Nachlaß, vol. II, pp. 325-26.
36 V. Verra, «Costruzione», scienza e filosofia in Schelling, in AA. VV., Romanticismo Esistenzialismo Ontologia della libertà, Milano, Mursia, 1979, pp. 120-36. Sul concetto di «costruzione» in Schelling cfr. anche K. Rotschuh, Naturphilosophische Konzepte der Medizin aus der Zeit der deutschen Romantik, in Romantik in Deutschland. Ein interdisziplinäres Symposion (a cura di R. Brinkmann), Stuttgart, Metzler, 1978, pp. 243-66 e H. Krings, Natur als Subjekt. Ein Grundzug der spekulativen Physik Schellings, in Natur und Subjektivität. Zur Auseinandersetzung mit der Naturphilosophie des jungen Schelling (a cura di R. Heckmann, H. Krings, R. W. Meter), Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1985, pp. 111-28 .
37 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 59-60, trad. it. cit., p. 59. Schopenhauer sostiene che la filosofia dell'identità incorre in due errori opposti: l'idealismo trascendentale, che «fa venire l'oggetto fuori dal soggetto», e la filosofia della natura, che «fa sviluppare a poco a poco il soggetto dall'oggetto, con l'impiego di un metodo che viene chiamato costruzione».
38 Nachlaß, vol. II, p. 329.
39 Nachlaß, vol. I, § 706, p. 487. Il brano venne riprodotto in Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 204-205, trad. it. cit., p. 208. La vicinanza schopenhaueriana a Schelling, in queste considerazioni, è riconoscibile grazie un articolo pubblicato nel 1805, su «Neues Museum der Philosophie und Litteratur» (la rivista diretta da Bouterwek), che criticava aspramente la concezione schellinghiana della natura, proprio perché sembrava molto simile a correnti di pensiero screditate, quali misticismo, pitagorismo, Kabbala, magia, esoterismo. Cfr. Erinnerung an die Naturphilosophie einiger Aerzte, Kabbalisten und Rosenkreuzer aus den vorigen Jahrhunderten, «Neues Museum der Philosophie und Litteratur», III, 1805, pp. 21-46. Probabilmente il saggio fu noto a Schopenhauer, che di Bouterwek era stato allievo a Gottinga, ma il filosofo non prese le distanze da quei riferimenti culturali che già avevano suscitato critiche contro Schelling e che lo avrebbero potuto identificare come un discepolo della dottrina schellinghiana.
40 Nachlaß, vol. I, § 421, p. 271 e § 523, pp. 349-350.
41 Nachlaß, vol. I, § 328, p. 206.
42 Nachlaß, vol. I, § 328, p. 205.
43 Nachlaß, vol. I, § 228, pp. 131-132. L'argomento entrò a far parte anche dell'opera principale: cfr. Die Welt als Wille und Vorstellung cit., § 31.
44 A. Schopenhauer, Der handschriftliche Nachlaß in fünf Bänden cit., vol. III: Berliner Manuskripte (1818-1830), § 82, pp. 113-114.
45 F. W. J. Schelling, System des transscendentalen Idealismus, Tübingen, Cotta, 1800, sez. VI, § 3.
46 Nachlaß, vol. I, § 404, pp. 253-255.
47 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 215, trad. it. cit., p. 218: l'argomento era già stato svolto nel 1816, come testimonia un passo del Nachlaß, vol. I, § 532, pp. 356-357.
48 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 59, trad. it. cit., p. 58.
49 Nachlaß, vol. II, p. 313.
50 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 208, trad. it. cit., p. 211.
51 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 211, trad. it. cit., p. 214.
52 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 204, trad. it. cit., pp. 207-208.
53 Ibid.
54 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 211, trad. it. cit., p. 214.
55 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 205, trad. it. cit., p. 208.
56 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 214, trad. it. cit., p. 217.
57 F. W. J. Schelling, Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie, in Schellings Werke cit., vol. II, p. 220, trad. it. a cura di Gigliola Grazi con il titolo Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura, Roma, Cadmo, 1989, p. 329.
58 Erster Entwurf, pp. 257-258, trad. it. cit., p. 371.
59 F. Moiso, Vita natura libertà. Schelling (1795-1809), Milano, Mursia, 1990, pp. 204-205.
60 Nachlaß, vol. II, pp. 317-18.
61 Nachlaß, vol. II, p. 319.
62 Cfr. S. Barbera, Schopenhauer e Goethe: dall'attimo al fenomeno originario, «Iride», 2, 1989, p. 53.
63 La definizione è in A. Gode von Aesch, Natural Science in German Romanticism, Nex York, Columbia University Press, 1941, pp. 149-50.
64 Nachlaß, vol. I, § 548, p. 367.
65 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 211, trad. it. cit., p. 214.
66 F. Moiso, Vita natura libertà cit., pp. 20-21.
67 Nella Weltseele e nello Erster Entwurf Schelling rielaborò le concezioni espresse da Kielmeyer in Über die Verhältnisse der organischen Kräfte untereinander in der Reihe der verschiedenen Organisationen, die Gesetze und Folgen dieser Verhältnisse. Eine Rede der 11ten Februar 1793 am Geburtstage des regierenden Herzogs Carl von Wirtemberg, im großem akademischen Hörsale gehalten. Schopenhauer, dopo la lettura dei testi di Schelling, si procurò la ristampa del testo di Kielmeyer (Tübingen, Osiander, 1814): cfr. Nachlaß, vol. V: Randschriften zu Büchern, p. 265.
68 Nachlaß, vol. I, § 529, p. 355.
69 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 175, trad. it. cit., p. 178: «... spazio, tempo e causalità ... non sono sue [della cosa in sé] determinazioni, ... appartengono solo alla sua manifestazione, non a lei medesima».
70 Cfr. F. W. J. Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur cit., pp. 51-54, in Schellings Werke cit., vol. I, 694-97; e A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 216-17, trad. it. cit., p. 220.
71 Sull'origine kantiana di queste considerazioni schellinghiane, cfr. F. Moiso, Vita natura libertà cit., pp. 107-117.
72 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 220, trad. it. cit., p. 224.
73 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., pp. 217 e 221, trad. it. cit, pp. 220 e 225.
74 Die Welt als Wille und Vorstellung, in Werke in fünf Bänden cit., vol. II, trad. it. di G. De Lorenzo con il titolo Supplementi al «Mondo come volontà e rappresentazione», Roma-Bari, Laterza, 1986, cap. XXVI: Zur Teleologie, pp. 389-90, trad. it. cit., pp. 344-45.
75 F. W. J. Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur cit., p. 308, propone di sostituire la misteriosa cosa in sé con la forza, definita Uebersinnliche. La replica di Schopenhauer è in Nachlaß, vol. II, pp. 320-21: la forza non è Uebersinnliche, ma un concetto astratto ricavato dal mondo sensibile.
76 F. W. J. Schelling, Von der Weltseele, eine Hypotese der höhern Physik zur Erklärung des allgemeinen Organismus, Hamburg, Perthes, 1798, p. 195, in Schellings Werke cit., vol. I, p. 571. Sul tema del superamento dell'opposizione tra meccanicismo e vitalismo, cfr. A. Gode-Von Aesch, Natural Science in German Romanticism cit., pp. 149-50.
77 Schelling, Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie cit., p. 207, trad. it. cit., p. 315.
78 Cfr. A. Schopenhauer, Parerga und Paralipomena, in Werke in fünf Bänden cit., vol. V, p. 31, trad. it. con il titolo Parerga e Paralipomena, vol. II (a cura di M. Carpitella, traduzione di M. Montinari e di E. Amendola Kuhn), Milano, Adelphi, 1983, p. 47, dove Schelling viene elogiato perché ha riempito il vuoto «determinato dai risultati negativi della filosofia kantiana», in attesa di una «vera filosofia nuova. ... Ha utilizzato la scienza naturale del nostro secolo per rianimare l'astratto panteismo di Spinoza. ... Tutto ciò insomma rappresenta l'innegabile merito di Schelling nella sua filosofia della natura».
79 Nachlaß, vol. II, p. 317.
80 F. W. J. Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur cit., p. 79, in Schellings Werke cit., vol. I, p. 717.
81 Il testo, con l'annotazione «Wind über Wind» nel margine superiore delle pagine 72 e 73, è conservato nello Schopenhauer-Archiv di Francoforte. Cfr. Nachlaß, vol. V, p. 146.
82 Nachlaß, vol. II, p. 320.
83 Nachlaß, vol. II, p. 338.
84 Die Welt als Wille und Vorstellung cit., p. 204, trad. it. cit., p. 207. In sede storiografica la presenza di concezioni schellinghiane in Schopenhauer è stata riconosciuta ma non correttamente valutata. Si è parlato di uso disinvolto di concetti, estratti dal contesto teoretico schellinghiano e semplificati, come fa I. Vecchiotti, Sviluppo e senso delle annotazioni schopenhaueriane a Schelling cit., p. 433, che esemplifica l'argomento con il concetto di assoluto. Tuttavia ciò non basta a chiarire perché Schopenhauer utilizzò le concezioni di un antagonista all'interno del suo sistema.