Sommaire
- Introduzione
- 1. La faccia solare della memoria involontaria
- L’ampiezza numerica della memoria involontaria
- Allargamento fenomenologico
- 2. La memoria crepuscolare : risveglio e fantasticheria
- 3. La faccia lunare della memoria involontaria : il sonno e il sogno
- La memoria del sogno
- La memoria del sonno
- Conclusione
- Notes de bas de page
Introduzione
Marcel Proust non ha certo inventato la memoria involontaria. Essa è il dono di ogni uomo soggetto alle facoltà intuitive e sensitive del suo talamo1. E questo convegno ne è una conferma attraverso tutta la storia culturale dell’Occidente. Proust non fu nemmeno il primo a conferire alla memoria involontaria una dignità letteraria : nell’ambito letterario francese, bisogna risalire perlomeno a Jean-Jacques Rousseau2. Ma mi pare che Proust abbia fatto della memoria involontaria ben altra cosa rispetto ai suoi pur numerosi predecessori3. In primo luogo lo scrittore fa della reminiscenza il fondamento dogmatico della sua opera : nel 1913, quando uscì il primo volume della Ricerca del tempo perduto, Proust scriveva : « Voyez-vous, je crois que ce n’est guère qu’aux souvenirs involontaires que l’artiste devrait demander la matière première de son œuvre »4. Nella sua corrispondenza, Proust insiste a più riprese sull’opposizione che « domina » tutta la sua opera, quella tra memoria volontaria e memoria involontaria : la prima, prodotta dall’intelligenza, è sbiadita e incapace di risuscitare il passato mentre l’altra è feconda, veritiera, sconvolgente. Inoltre, egli fa subire al tema della memoria un trattamento poetico unico nel suo genere : per unire il tema e la narrazione con un legame che sia necessario, vincolante, per dare un saldo assetto al monumento romanzesco, per riservare, all’eroe, un tempo di formazione e di scoperta, al lettore, un tempo di suspense e di attesa, Proust divarica quasi sempre il motivo di memoria in due luoghi lontani del romanzo : il racconto dell’impressione originale da una parte, il racconto del suo ricordo dall’altra, si collocano a debita distanza, come due colonne che sorreggono un arco. Esempio eccelso : François le Champi di George Sand viene letto dalla madre all’inizio di Du côté de chez Swann, ma la scena viene ricordata soltanto alla fine del Temps retrouvé, dopo più di 3000 pagine. Mentre gli altri autori della memoria involontaria tengono unita la narrazione dei due istanti, in quanto il ricordo innesca un immediato, contiguo ritorno nel passato sotto forma di flash back narrativo, di analessi. Proust inoltre, moltiplica per cento (cento reminiscenze) tali appoggi e tali archi su tutta la superficie romanzesca, come nelle cripte sotterranee delle cattedrali. Infine, in un’altra sede5, ho potuto mettere in luce come il nostro autore ricorra a procedimenti stilistici scelti per camuffare l’impressione originale da una parte (ragione per la quale la critica non vi si è soffermata), e dall’altra per rendere la reminiscenza ancora più luminosa, aumentando così lo stupore dell’eroe e del lettore all’attimo dell’epifania. Questo breve cenno all’originalità proustiana, sulla quale non mi soffermo ora perché l’ho sviluppata in altra sede, ci fa vedere come la memoria involontaria procuri quindi alla Recherche, come a nessun altro romanzo, molto più di quanto lasci indovinare la lettura della sola madeleine : vi troviamo un principio estetico fondatore, un tema massiccio e prolifico6,una salda ossatura7, e una costante tensione verso la sorpresa.
Ma questa memoria, pur così teatrale nella scena della già ricordata « madeleine », in verità non basta a sospingere il racconto lungo le tremila cinquecento pagine della Recherche. Il ricordo involontario deve allearsi ad altri tipi spontanei di ricordo, ai quali però la critica proustiana ha raramente dedicato la propria attenzione8 : penso alla memoria organica, a quella del sonno e del sogno, del risveglio e della fantasticheria. Ed è interessante osservare come il termine réminiscence distribuisca equamente le sue occorrenze tra tutti quei tipi, a mo’ di iperonimo, di etichetta generica : Proust evoca ora reminiscenze del corpo e delle sue membra, ora reminiscenze del sogno o del sonno, ora ancora reminiscenze del risveglio e della fantasticheria. Ci accorgeremo strada facendo che la Recherche prende sì le mosse dalla memoria, ma non da quella che si credeva. Vedremo anche come la memoria involontaria si contrapponga sì alla memoria volontaria, ma, checché ne dica Proust stesso, con meno insistenza di quanto non si allei ad altre forme di memoria. Si tratterà ora di identificare questi diversi tipi di ricordo involontario, di paragonarli tra di loro per coglierne la specificità. Per una maggiore chiarezza espositiva, distinguerò tre gruppi di memoria : la prima famiglia raccoglie i motivi di memoria involontaria diurna, nel senso stretto dell’espressione, quella resa possibile da una veglia distratta, rilassata, che lasci ampio spazio alle percezioni sensitive, la seconda, i ricordi spontanei dell’addormentamento e del risveglio che, visto la loro ora, potremmo qualificare di ‘crepuscolari’ ; la terza famiglia, la memoria ‘lunare’ o notturna, più grama e più antica, vede nel sogno il manifestarsi della memoria del sonno, ed è la fonte più primitiva del ricordare.
1. La faccia solare della memoria involontaria
Non solo il tema del ricordo si concretizza nel testo in molti più casi di reminiscenze di quanti ne abbia annoverato la critica, ma la memoria « spontanea » presenta delle vie di ricordo molto più varie di quanto si creda solitamente.
L’ampiezza numerica della memoria involontaria
Dal biscottino/pasticcino inzuppato di tè al lastricato sconnesso (cioè da La Strada di Swann a Il Tempo ritrovato), in quell’« intervallo » di 3500 pagine che gli studiosi della Recherche si ostinano a credere deserto, si dispiega tutt’una fitta rete di motivi che vincola la materia del romanzo a un centinaio di reminiscenze della stessa natura. Ora esse non sono meno funzionali, efficaci, o commoventi della rumorosa e appariscente madeleine. Ma, per fondersi col racconto nel modo più discreto possibile, senza tante vistose segnalazioni dogmatiche, questi motivi variano così tanto la loro entrata in scena che spesso non vengono riconosciuti come tali9. Eppure, come lo comprova molto spesso la versione più esplicita contenuta negli scartafacci, essi dicono tutti l’essenziale della reminiscenza : « Questa sensazione fortuita mi ricorda, mio malgrado, tale altra sensazione che credevo dimenticata, e con se tutto il suo contesto. E mi sconvolge ! ». Lo studio degli scartafacci conservati alla Bibliothèque Nationale de France conferma inoltre come Proust non si sia mai stancato di perfezionare i suoi motivi di memoria, di completarli, spostarli, scinderli, disseminarli, spinto com’era dalla profonda logica della sua creazione, da una linea compositiva tenace e coerente10. Non eliminava reminiscenze, semmai ne aggiungeva11, come a dire che le paste nuove pronte a lievitare attorno ad Albertine, alla sua prigionia e alla sua sparizione, necessitassero tutte di questo sale. Lo studio tematico di impostazione strutturale, confortato dall’inchiesta sugli scartafacci, ci porta quindi molto lontano della classica, ed estremamente riduttiva coppia della madeleine e dei pavés.
Allargamento fenomenologico
Vi è di più. Non solo la memoria involontaria moltiplica le sue « occasioni » (si contano, dicevo, ormai cento episodi di memoria involontaria in tutta la Recherche), ma essa diversifica anche i suoi canali. Ai cinque sensi classici (il gusto con la madeleine, il tatto con il tovagliolo inamidato, l’olfatto con il padiglione ammuffito, la vista di una chiesa o di un viale alberato, l’udito con il cucchiaino che tintinna sul piatto), bisogna anche aggiungere all’elenco altri due tipi di sensazioni corporee, più complessi : il corpo nei suoi muscoli (gesto, postura, movimento, come inciampare sul lastricato, scendere le scale, stringere una mano, chinarsi sugli scarponi, annodare un fazzoletto attorno al collo) ; e il corpo con la sua cute, sensore della temperatura e dell’umidità costitutive del clima atmosferico. In poche parole, bisogna anche fare i conti con una memoria cinetica e con una memoria meteorologica o « climaterica » come la chiama Proust stesso.
La memoria meteorologica suppone una sorta di armonia tra il fondo dell’organismo umano e l’atmosfera del momento, armonia che Proust esprime tramite la metafora ricorrente del raggio di sole che, toccandola, fa cantare una statuina di Memnone, un omino barometrico, un violinista interiore. Come lo riassume lo scrittore nel suo primo taccuino di appunti12, « Le bonheur n’est qu’une certaine sonorité des cordes qui vibrent à la moindre chose et qu’un rayon fait chanter » (f° 27 r°). Questa armonia tra il corpo e il clima, assieme ai ricordi che essa serba, suppone che vengano stimati contemporaneamente il tempo che fa ora e il tempo che fece allora, tramite diversi sensi combinati del nostro corpo, attorno alla pelle, al naso, all’orecchio, alla pressione sanguigna13 :
… pour une même saison l’atmosphère de chaque jour est comme un instrument original sur lequel un même bruit exécute son air identique qui revêt un caractère et exprime un sentiment différent selon qu’il le transpose pour les sourdes résonances et tambours du brouillard ou les aigres cornemuses du beau temps. (RTP, III, 1097)
Il famoso Taccuino n°1 (Carnet n° I) del 1908, prima matrice del futuro romanzo, contiene, tra gli altri nuclei di reminiscenze, delle annotazioni telegrafiche sul tempo che fa, dove si riconoscono i primi solchi di numerose scene della Recherche (li cito per il loro carattere allo stesso tempo suggestivo ed essenziale) : « soleil dehors Venise Cabourg, mouvement vif de soleil et de vent sur grands espaces de marbre » (f° 6r°), « odeur froide qui se teint de l’or des matins d’hiver » (f° 8 v°), « air froid de château où il y a du froid du parc et de la nature, vivifiant” (f° 12 r°), « pluie par un temps doux à l’aube » (f° 17 r°), « coup de vent plus émouvant qu’un coup de théâtre » (RTP, II, 1711).
La tavolozza dei cinque sensi della memoria involontaria si arricchisce dunque di convergenze più complesse, come quelle che, termo-, anemo- ed igrometriche allo stesso tempo, ma anche olfattive e gustative, ci fanno percepire il tempo che fa a fior di pelle, di naso, di labbra e di cuore. Essa coinvolge pure le sensazioni muscolari del corpo, pause, posture, movimenti. Tuttavia, sebbene la memoria involontaria così recensita (dicevamo dunque 100 motivi suddivisi non in 5 bensì in 7 classi sensitive14) riveli la sua indubbia ubiquità nella Recherche, ciò nondimeno non si può affermare che tutta la Recherche sia stata generata dalla memoria involontaria nel senso stretto del termine : tutto il secondo Combray forse sì, ma non tutto il Tempo perduto. Se la memoria involontaria serve sì « di stelo al fiore del romanzo », cioè serve a sorreggere l’impalcatura diegetica, invece non è interamente responsabile del suo sviluppo, checché ci voglia far credere Proust15.
2. La memoria crepuscolare : risveglio e fantasticheria16
Perché c’è un altro tipo di memoria che viene a ricaricare periodicamente il racconto in un modo molto più potente ed efficace della madeleine : è la memoria del corpo o ‘memoria organica’, chiamata anche ‘spontanea’ dai suoi rarissimi commentatori, forse per non confonderla del tutto con la memoria involontaria. A questa terza memoria e alla sua spontanea insistenza – sia nella vita, sia nella scrittura – Proust deve di avere scoperto quella forma che tanto era mancata a Jean Santeuil. E lo scrittore ne è ben consapevole, quando avverte il suo amico René Blum (e negli stessi termini anche i critici e la stampa) :
C’est un livre extrêmement réel mais supporté en quelque sorte, pour imiter la mémoire involontaire […] par une grâce, un pédoncule de réminiscences. Ainsi une partie du livre est une partie de ma vie que j’avais oubliée et que tout d’un coup je retrouve en mangeant un peu de madeleine […] Une autre partie du livre renaît des sensations du réveil, quand on ne sait où on est et qu’on se croit deux ans avant dans un tout autre pays […]17.
Il corpo interviene quindi per la seconda volta nel campo della memoria : abbiamo visto che sorprendeva un eroe colpito dal riproporsi di certi gesti, movimenti o andature che l’avevano sorpreso o colmato di gioia tempo fa : come inciampare sul lastricato sconnesso o scendere le scale con Robert de Saint-Loup. Quei pochi casi di memoria muscolare investivano, di giorno, un eroe ben sveglio, mentre, in questa memoria del terzo tipo che stiamo per incontrare, le illusioni del corpo intorpidito e sonnolento fecondano lembi di racconto ben caratteristici nell’universo della Recherche : le scene di risveglio. Queste ouvertures nel senso musicale del termine iniziano a più riprese sia una giornata dell’eroe sia tutto un ciclo narrativo, in virtù di un procedimento eccelsamente messo in luce da John Porter Houston18, che consiste nell’organizzare intorno ad una giornata tipo iterativa (all’imperfetto di ripetizione) un periodo della vita dell’eroe che può rendere conto di parecchi anni. Non è forse naturale far iniziare tale giornata tipo da un risveglio ? L’uomo allettato, così familiare ad un Proust spesso malato o convalescente, è il primo narratore che gli venga in mente, quando si propone di comporre una « Conversazione con la mamma » attorno a Sainte-Beuve e alla critica letteraria. E non cambierà formula ogni qualvolta, inaugurando una nuova tappa del racconto19, ripartirà da una mattinata, lanciando ponti e intrecciando richiami :
1. All’inizio di Du côté de chez Swann : « Certes, j’étais bien éveillé maintenant […] le branle était donné à ma mémoire…» (RTP, I, 8-9) introduce un primo ricordo di Combray a fuoco di Bengala, che si chiude con questa frase : « C’est ainsi que, pendant longtemps, quand, réveillé la nuit, je me ressouvenais de Combray, je n’en revis jamais que cette sorte de pan lumineux… » (RTP, I, 43). Ed in capo a questa prima parte di Swann : « C’est ainsi que je restais souvent jusqu’au matin à songer au temps de Combray, à mes tristes soirées sans sommeil… » (RTP, I, 183).
2. Ai due terzi di Du côté de chez Swann, per introdurre « Noms de pays : le nom » : « Parmi les chambres dont j’évoquais le plus souvent l’image dans mes nuits d’insomnie, aucune ne ressemblait moins aux chambres de Combray […] que celle du Grand-Hôtel de la Plage, à Balbec… » (RTP, I, 376).
3. In Du côté de Guermantes I, il soggiorno a Doncières comincia con un risveglio incantato : « Quand j’avais fini de dormir, attiré par le ciel ensoleillé mais retenu par la fraîcheur de ces derniers matins si lumineux et si froids où commence l’hiver… » (RTP, II, 380-7).
4. All’inizio di Du côté de Guermantes II ii : una « rêverie » sui nomi di paese, che risponde alla precedente : « Un changement de temps suffit à recréer le monde et nous-mêmes » (RTP, II, 641-3). Mentre « Adam frileux en quête d’une Eve sédentaire » ricollega tale risveglio a quello dell’incipit : « comme Eve naquit d’une côte d’Adam » (RTP, I, 4).
5. A sette riprese, La Prisonnière prende le mosse da una mattina. Cinque di esse aprono su ricordi specifici del risveglio, con, la prima, le « petit bonhomme barométrique » : « Dès le matin, la tête encore tournée contre le mur et avant d’avoir vu, au-dessus des grands rideaux de la fenêtre, de quelle nuance était la raie de jour, je savais déjà quel temps il faisait. Les premiers bruits de la pluie me l’avaient appris » (RTP, I, 519).
6. La seconda : « J’avais promis à Albertine que, si je ne sortais pas avec elle, je me mettrais au travail. Mais le lendemain, comme si, profitant de nos sommeils, la maison avait miraculeusement voyagé, je m’éveillais par un temps différent, sous un autre climat » (RTP, III, 589).
7. La terza : « Le lendemain […] je m’éveillai de bonne heure, et, encore à demi endormi, ma joie m’apprit qu’il y avait, interpolé dans l’hiver, un jour de printemps » (RTP, III, 623)20.
8. Alla fine di La Prisonnière (RTP, III, 911-914) : « Le beau temps, cette nuit-là, fit un bond en avant, comme un thermomètre monte à la chaleur. Quand je m’éveillai, de mon lit par ces matins tôt levés du printemps, j’entendais les tramways cheminer, à travers les parfums ».
9. Nel bel mezzo della sofferenza e del lutto in La Fugitive(RTP,IV, 64-71) : « Bientôt les bruits de la rue allaient commencer, permettant de lire à l’échelle qualitative de leurs sonorités le degré de la chaleur sans cesse accrue où ils retentiraient ».
10. All’inizio del Temps retrouvé, il risveglio notturno tanto singolare quanto « singolativo » (come direbbe Gérard Genette) : « Une fois que j’avais quitté Gilberte assez tôt, je m’éveillai au milieu de la nuit dans la chambre de Tansonville, et encore à demi endormi j’appelai : ‘Albertine’ » (RTP, IV, 277).
11. Notiamo che l’eroe focalizza il suo progetto poetico precisamente in occasione di un’ultima « Matinée » (La Matinée Guermantes).
Da un punto di vista strutturale dunque, è evidente come questa terza memoria, organica, sollecitata dal passaggio corporeo dal sonno al risveglio, sia quella che riavvia il racconto e ne riallaccia le fila, fino al Temps retrouvé, mentre la narrazione scaturita dalla tazza di tè si circoscrive nelle 145 pagine che corrono dalla madeleine a Un amour de Swann.
Ma ci resta da vedere in che cosa questa « memoria involontaria dei membri », come la chiama Proust nel Temps retrouvé, che fa sì che « Le gambe, le braccia, sono pieni di ricordi assopiti », risulta allo stesso tempo vicina e diversa dalla memoria involontaria nel senso stretto della parola. Vi assomiglia per il suo carattere fortuito e miracoloso, giacché Proust la rende responsabile della risurrezione di molti ricordi dimenticati che da tempo sfuggivano alla memoria volontaria ; ma è anche diversa, seno perché mai Proust l’avrebbe opposta a più riprese alla precedente ?
Ma mémoire avait, la mémoire involontaire elle-même, perdu l’amour d’Albertine. Mais il semble qu’il y ait une mémoire involontaire des membres, pâle et stérile imitation de l’autre21, qui vive plus longtemps, comme certains animaux ou végétaux inintelligents vivent plus longtemps que l’homme. Les jambes, les bras sont pleins de souvenirs engourdis. Une fois que j’avais quitté Gilberte assez tôt, je m’éveillai au milieu de la nuit dans la chambre de Tansonville, et encore à demi endormi j’appelai : « Albertine ». Ce n’était pas que j’eusse pensé à elle, ni rêvé d’elle, ni que je la prisse pour Gilberte : c’est qu’une réminiscence éclose en mon bras m’avait fait cherché derrière mon dos la sonnette, comme dans ma chambre de Paris… (RTP, IV, 277)
L’analisi dei ricordi ripescati per quest’altra via spontanea della memoria rivela, da una parte, la sua assoluta estraneità rispetto alla memoria volontaria – che serve talmente da repoussoir da risultare realmente ‘respinta’ nelle quinte della teoria – ma anche, d’altra parte, dei punti comuni e dei punti divergenti rispetto alla memoria involontaria. Sintetizziamo :
La memoria crepuscolare si distingue dalla memoria volontaria dai tratti seguenti, che condivide invece con la memoria involontaria :
Essa è spontanea : scaturita dal sonno, dal sogno e dalla prima fase del risveglio, essa emerge dagli abissi dell’oblio e/o dell’inconscio, totalmente emancipata dalla volontà razionale e lucida del soggetto : è il corpo ad agire22 sulla memoria, il corpo e le sue sensazioni di posture, climi. Non la ragione.
Essa è sensitiva, giacché il suo innesto dipende da una posizione del corpo, un movimento, una sensazione climatica, uditiva, olfattiva ; mentre la memoria volontaria poggia sull’intervento della ragione, dell’intelligenza, della volontà appunto.
Essa è efficace, varca con successo le barriere dell’oblio, giacché riporta alla luce episodi lontani dell’infanzia che il soggetto credeva di aver persi per sempre. Mentre la memoria volontaria, nel lungo esilio dell’oblio, rivela immancabilmente la sua impotenza.
Infine essa è affettivamente ricca e potente, giacché provoca nel soggetto in preda al ricordo : terrore, credenza, gioia, dolore, desiderio, godimento ecc. Mentre la memoria volontaria rimane neutra, fredda, insipida.
La memoria crepuscolare si differenzia tuttavia dalla memoria involontaria diurna dai tratti seguenti :
Mentre la memoria involontaria sfugge totalmente alla durata e rivela il « tempo allo stato puro », teso fra i due infiniti dell’istante e dell’eternità, la memoria crepuscolare si lascia assaporare con calma. Barca alla deriva sul filo della fantasticheria, album di fotografie sfogliato con indolenza, essa spigola senza affanno quello che la memoria involontaria coglie in un attimo, nello sconvolgimento superlativo della fulminazione.
Soggetta al tempo, la memoria crepuscolare si dissocia in due fasi consecutive : quella del passaggio furtivo dal sonno alla veglia (il risveglio vero e proprio), in cui il « dormeur mal éveillé d’un sommeil profond »23, ancora sprovvisto di coscienza e d’intelligenza, si lascia invadere da un passato lontano che il suo corpo aveva serbato a sua insaputa ; e quella della fantasticheria (rêverie) che segue il risveglio, in cui il soggetto è ormai completamente uscito dal sonno, ha ricuperato il suo pensiero lucido e cosciente, ma lascia ancora andare il filo delle sue impressioni e dei suo umori. Complice la confusione mentale del risveglio, il corpo procura alla fantasticheria un materiale da ricomporre : « des souvenirs que j’avais oubliés […] que je me figurais actuels sans me les représenter exactement et que je reverrais mieux tout à l’heure quand je serais mieux éveillé» (Cahier 5, RTP I, 655).
3. La faccia lunare della memoria involontaria : il sonno e il sogno
Ma le occasioni che si presentano all’eroe della Recherche per ricordarsi suo malgrado per la via dei sensi e degli affetti (cioè involontariamente) sono più numerose e varie ancora, di quelle che provocano i cinque sensi, le posizioni del corpo o le percezioni del clima. Se si interrogano quei passi straordinari in cui il narratore nel suo letto analizza le sottili migrazioni dell’io nel sonno, ci si accorge che ogni forma di veilleuse (silenziatore) imposta alla ragione basta a fare germogliare il ricordo lontano24. Altri due tipi di memoria svincolata dalla volontà precedono sia nel filo del racconto, sia nella coscienza del soggetto, quelli che abbiamo evocati finora : e sono la memoria del sonno25 e quella del sogno.
La memoria del sogno
Tutti questi ritorni inaspettati del ricordo non hanno la stessa resistenza di fronte al pensiero diurno. All’estremo inizio della Recherche, il narratore osserva come il pensiero indotto dal sogno, sia che sostenga un ricordo vicino (come l’ultima lettura della sera prima), o un ricordo lontano (come i riccioli infantili), presenti certi caratteri deludenti : l’immagine proposta dal sogno appartiene all’ordine della ‘credenza’, e si oppone alla ragione diurna che essa acceca come delle squame gettate sopra l’occhio. Inoltre, essa delude per la sua estrema fragilità : labile, effimera, è destinata a sbiadire e scomparire all’attimo del risveglio : « [cette croyance] commençait à me devenir inintelligible, comme après la métempsycose les pensées d’une existence antérieure » (RTP, I, 3) ; o semplicemente di una vita molto remota : « Ou bien en dormant j’avais rejoint sans effort un âge à jamais révolu de ma vie primitive, retrouvé telle de mes terreurs enfantines comme celle que mon grand-oncle me tirât les boucles et qu’avait dissipée le jour – date pour moi d’une ère nouvelle – où on me les avait coupées » (RTP, I, 4).26 Ripreso nel Temps retrouvé, il sogno è descritto come un mezzo potente ed immediato sì, ma illusorio, di ritrovare il tempo perduto, perché l’unico mezzo capace di fissarne il frutto per sempre, è la creazione artistica.
Eppure, nonostante una reale difficoltà di decifrazione, una compromettente labilità, e un lavoro di deformazione imposto dalle barriere dell’inconscio, la memoria-sogno presenta dei punti di somiglianza con la memoria involontaria : il suo carattere spontaneo, la sua efficacia, il suo potere di commozione. Infatti :
Essa è involontaria, cioè irrazionale, incontrollabile e fortuita, giacché dipende dai capricci del sonno.
Essa è potente contro l’oblio più tenace, e la profondità del tempo perduto, è capace di rianimare « des idées bizarres d’un autre temps que nous ne pensions plus pouvoir jamais ressentir »(Cahier 5, RTP, I, 640), « des sensations qui ne reviendront plus qu’en rêve »(Cahier I, RTP, I, 645) Aldilà delle debolezze della memoria involontaria stessa, il sogno appare qui come l’ultima spiaggia – del tutto arbitraria, aleatoria – della memoria contro l’oblio27.
Essa sconvolge e commuove per il clima d’angoscia dei « cauchemars pleins de réminiscences » che, per intermittenza, risuscitano ora l’amata nonna (RTP, III, 157-9), ora l’amante Albertine28 :
Souvent c’était tout simplement pendant mon sommeil que ces « reprises », ces da capo du rêve tournant d’un seul coup plusieurs pages de la mémoire, plusieurs feuillets du calendrier, me ramenaient, me faisaient rétrograder à une impression douloureuse mais ancienne, qui depuis longtemps avait cédé la place à d’autres et qui redevenait présente. D’habitude elle s’accompagnait de toute une mise en scène maladroite mais saisissante, qui me faisant illusion mettait sous mes yeux, faisait entendre à mes oreilles ce qui désormais datait de cette nuit-là. D’ailleurs, dans l’histoire d’un amour et de ses luttes contre l’oubli, le rêve ne tient-il pas une place plus grande même que la veille, lui qui ne tient pas compte des divisions infinitésimales du temps, supprime les transitions, oppose les grands contrastes, défait en un instant le travail de consolation si lentement tissé pendant le jour et nous ménage, la nuit, une rencontre avec celle que nous aurions fini par oublier à condition toutefois de ne pas la revoir ?(RTP, IV, 119)
La memoria del sonno
Proust evoca a più riprese il mondo strano e capriccioso del sonno, il quale lo fa puntualmente riflettere ai misteri della memoria.
1. All’inizio di Du côté de chez Swann (RTP, I, 3-7), quando l’Insomniaque galleggia tra sonno e risveglio, e disquisisce sulle eclissi della coscienza ;
2. in Le Côté de Guermantes I, la prima sera del soggiorno a Doncières (RTP, II, 443-445) ;
3. all’inizio di Sodome et Gomorrhe II, a proposito delle pennichelle pomeridiane (RTP, III, 52) ;
4. all’inizio del secondo soggiorno a Balbec, dopo il « bouleversement de toute ma personne » provocato dai bottoni degli scarponi (RTP, III, 157-9) ;
5. all’inizio del capitolo III di Sodome et Gomorrhe II, le notti dopo le cene a Rivebelle (RTP III 370-5) ;
6. infine nella Prisonnière, nel bel mezzo dei “cris de Paris” (RTP, III, 628-32).
Il mondo del sonno si affaccia al pensiero proustiano con l’immagine nervaliana delle « portes d’ivoire ou de corne qui nous séparent du monde invisible »29. Riflettere al sonno vial’insonnia richiede per Proust lo stesso percorso comparativo che riflettere alla memoria via l’oblio : « Un peu d’insomnie n’est pas inutile pour apprécier le sommeil, projeter quelque lumière dans cette nuit. Une mémoire sans défaillance n’est pas un très puissant excitateur à étudier les phénomènes de mémoire » (RTP, III, 52). Come si aprono diverse vie del ricordo relative a vari spessori di oblio, così i vari tipi di sonno si distinguono tra di loro dal loro rapporto variabile con la veglia latente e la memoria dell’io (della propria identità, intende Proust), dai guizzi soffusi di coscienza alla più totale oscurità. Soliti o insoliti, brevi o lunghi, vesperali o mattutini, pesanti o leggeri, naturali o artificiali, i sonni, Proust li passa tutti in rassegna, li ordina attorno a varie metafore, tutte dinamiche : il volo in una poltrona magica (RTP, I, 4) o con il carro del sonno30 (RTP, III, 374-5), la passeggiata in un appartamento (RTP, III, 370-4) o in una casa con il suo « jardin réservé »31 (RTP, II, 383-387), l’imbarco sul Lete (RTP, III, 157-9), oppure un treno in piena corsa dal quale si tratterà di saltare al risveglio (RTP, III, 629). Tranne quando è troppo profondo, il sonno appare a Proust come quello stato per eccellenza che favorisce una memoria liberata, emancipata non solo dalla ragione, dalla coscienza, dall’intelligenza, ma anche dalle coordinate spazio-temporali : « Un homme qui dort tient en cercle autour de lui le fil des heures, l’ordre des années et des mondes » (RTP, I, 5). Dalla combinazione del moto e del cerchio nasce un inarrestabile vortice, un tourbillon attorno al quale Proust ricama instancabilmente nelle numerose riscritture32 di quel passo inaugurale della Recherche, per confluire verso quelle « évocations tournoyantes et confuses » (RTP, I, 6) che contraddistinguono le visioni del sonno da quelle del sogno, del risveglio e della fantasticheria : « tout tournait autour de moi dans l’obscurité : les pays, les choses, les années » (ibid.). Dal sonno al risveglio, il « disque tournant », prima guizzo, poi vortice impazzito, frena e rallenta, per poi procedere al passo nella fantasticheria, e fermarsi al risveglio completo33, o nell’estasi del ricordo involontario : ovvero, dalla confusione di istantanei immemorabili al lento sfogliare dei clichés allineati nell’album, fino alla fissa immagine del giorno e della sua tangibile realtà. Se le principali caratteristiche del sonno, del sogno, del risveglio e della fantasticheria sono comuni ad ogni tipo di ricordo spontaneo, queste diverse istanze della memoria involontaria si contraddistinguono ciò nondimeno dal loro modo di cavalcare il tempo, dallo scatto al gran galoppo, poi alla pacata camminata e alla sosta ipnotizzata. Ed è proprio questa variazione di ritmo tra le immagini lampo del sonno, il vortice del risveglio, e il lento sfogliare della fantasticheria che ha consentito a Proust di uscire dal cerchio chiuso previsto come prologo all’iniziale Contre Sainte-Beuve : darsi il tempo di rievocare lentamente con la memoria equivaleva a darsi il tempo di narrare il passato. Il cerchio chiuso che iniziava il Contre Sainte-Beuve con la semplice enumerazione delle camere abitate in passato si schiude nella Recherche in altrettanti petali di rosone (che sposano il fiore e la cattedrale così cari a Proust quando parla della sua opera) i quali tornano periodicamente ad attingere a quel cuore fecondo delle « camere » inizialmente ricordate :
Ces évocations tournoyantes et confuses ne duraient jamais que quelques secondes ; souvent, ma brève incertitude du lieu où je me trouvais ne distinguait pas mieux les unes des autres les diverses suppositions dont elle était faite, que nous n’isolons, en voyant un cheval courir, les positions successives que nous montre le kinétoscope. Mais j’avais revu tantôt l’une, tantôt l’autre, des chambres que j’avais habitées dans ma vie, et je finissais par me les rappeler toutes dans les longues rêveries qui suivaient mon réveil ; chambres d’hiver où quand on est couché, on se blottit la tête dans un nid qu’on se tresse avec les choses les plus disparates […] ; – chambres d’été où l’on aime être uni à la nuit tiède, où le clair de lune appuyé aux volets entrouverts, jette jusqu’au pied du lit son échelle enchantée […] ; – parfois la chambre Louis XVI, si gaie que même le premier soir je n’y avais pas été trop malheureux et où les colonnettes qui soutenaient légèrement le plafond s’écartaient avec tant de grâce pour montrer et réserver la place du lit ; parfois au contraire celle, petite et si élevée de plafond, creusée en forme de pyramide dans la hauteur de deux étages et partiellement revêtue d’acajou, où dès la première seconde j’avais été intoxiqué moralement par l’odeur inconnue du vétiver… […] je passais la plus grande partie de la nuit à me rappeler notre vie d’autrefois, à Combray chez ma grand-tante, à Balbec, à Paris, à Doncières, à Venise, ailleurs encore, à me rappeler les lieux, les personnes que j’y avais connues, ce que j’avais vu d’elles, ce qu’on m’en avait raconté. (RTP, I, 5)
La litania delle camere e delle città preannuncia dunque ogni nuova partenza narrativa che, scaturendo da un sonno e un risveglio, scandisce l’avvicendarsi dei diversi episodi narrativi della Recherche. Tale corrispondenza tra l’incipit generale e i successivi incipit locali suggerisce di figurare l’ispirazione mnemonica del narratore come un periodico e regolare ritorno all’inesauribile forziere delle camere, che disegna una rosa potenzialmente senza fine.
Conclusione
Se, per fondare il suo romanzo, Proust ha apertamente teorizzato solo due memorie (quella dell’intelligenza e quella dei sensi), in compenso ne ha praticate tante nello scriverlo. Il ricordo involontario imbocca diverse vie che, lungi dall’opporsi, si avvicendano e si completano, si ricaricano e si alimentano, e forniscono ognuna al romanzo parte della sua materia. Si precisa progressivamente la gerarchia di queste memorie : il ricordo è tanto più autentico e affettivamente convincente quanto più involontariamente è scaturito, quanto più profondamente ha sorpreso la coscienza – essendo lo sciopero della coscienza assicurato di volta in volta dalla distrazione, la contemplazione, la lettura, il sonno, la confusione del risveglio, la sonnolenza inattiva ed allucinatoria della fantasticheria. Ma questo stesso ricordo sarà tanto più fruttuoso per la creazione letteraria quanto meglio il pensiero (« le dur labeur de l’intelligence ») riuscirà finalmente a coglierlo, a fissarlo, a volgerlo in parole : così si spiega il minor interesse di Proust per i ricordi convogliati dal sonno e dal sogno poiché, più sfuggenti, più labili degli altri, ricadono presto nel buio.
Ciò nonostante, questa variabile efficacia si manifesta molto meno sul piano narrativo stesso – abbiamo visto come il racconto nasca spessissimo dalla notte del sogno e dell’insonnia – che non sul piano teorico estetico, che riguarda il cosa fare di questi ricordi riversati alla rinfusa nella coscienza : solo la memoria involontaria nel senso stretto della parola, Via Lattea che attraversa tutto il romanzo, dà veramente accesso alla redenzione artistica. In compenso, queste altre memorie involontarie dell’io notturno (quelle del sonno e del sogno, del risveglio e della fantasticheria), se non hanno la fecondità artistica della memoria involontaria dell’io diurno, unica a secernere l’essenza preziosa del tempo, per lo meno hanno una reale potenza diegetica, in quanto moltissimi elementi di quella grande avventura che è la Recherche sono usciti, non dalla tazza d’infuso di tiglio, bensì dalla massa confusa dei sogni. Come nelle Mille e una Notte orientali, che hanno prestato a Proust la loro poltrona magica e il loro « dormeur éveillé », è ogni notte che le mille e una memoria di Marcel Proust tessono i fili del suo racconto.
1 Eviteremo di entrare nell’eterna discussione delle influenze e dei suggerimenti che Proust avrebbe colti nella letteratura e nella scienza del suo tempo : altri ne hanno già dibattuto a sufficienza. Per un approccio divulgativo delle condizioni neurologiche della memoria nella cultura francese, vedasi Marc e Jean-Yves Tadié, Le sens de la mémoire, Paris, Gallimard, 1999, I parte ; La Recherche, numero speciale La Mémoire et l’oubli (luglio 2001).
2 Si veda al riguardo i contributi di Jean-François Perrin, Le Chant de l’origine, la mémoire et le temps dans Les Confessions di Jean-Jacques Rousseau, tesi di dottorato dell’Università di Paris III, ottobre 1992 ; « Rousseau et saint François de Sales : les lettres à Sophie ou la voie spirituelle », in Revue d’Histoire Littéraire de la France, 2 (marzo-aprile 1994), pp. 221-230.
3 Jean-François Perrin, « La mémoire et l’oubli dans les Egarements », in Jean Sgard (dir.), Songe, illusion, égarement dans les romans de Crébillon, Grenoble, Université Stendhal, ELLUG, 1996, pp. 311-324 ; « Romantisme et mémoire involontaire : le cas de Volupté », in Romantisme, 91 (1996-1), pp. 43-52 ; « La scène de la réminiscence avant Proust », in Poétique, 92 (1995), pp. 183-213.
4 Intervista con Elie-Joseph Blois, in Le Temps, 12 novembre 1913, riprodotta in Contre Sainte-Beuve, Paris, Gallimard, Pléiade, 1971, p. 558.
5 Vedasi l’analisi dei procedimenti stilistici messi in opera da Proust per camuffare l’impressione originale e per mettere il luce il ricordo perduto e ritrovato : Geneviève Henrot, « Le Fléau de la balance. Poétique de la réminiscence », in Poétique, 113 (1997), pp. 189-203.
6 Geneviève Henrot, Délits/Délivrance. Thématique de la mémoire proustienne, Padova, Cleup, 1991, pp. 289-291.
7 Geneviève Henrot, « Poétique et réminiscence. La charpente du temps », in Nouvelles directions de la critique proustienne, Atti del Convegno Internazionale di Cerisy-La-Salle, 2-9 luglio 1997, Marcel Proust 3, vol. II, Paris, Les Lettres Modernes, 2001, pp. 253-281.
8 Bisogna aspettare i lavori dei genetici dell’ITEM (Institut des Textes et des Manuscrits Modernes, Ecole Normale Supérieure de Paris), sugli scartafacci della Recherche perché nasca una prima riflessione approfondita sull’argomento. Si vedano, per ordine cronologico, gli articoli seguenti : Claudine Quémar, « Autour de trois “avant-textes” de l’Ouverture de la Recherche : nouvelles approches des problèmes du Contre Sainte-Beuve », Bulletin d’informations proustiennes, 3 (1976), pp. 7-39. Bernard Brun, « Le dormeur éveillé. Genèse d’un roman de la mémoire », études proustiennes IV, Cahiers Marcel Proust, 11 (1982), pp. 242-316. Jean Milly, étude génétique de la rêverie des chambres dans l’‘Ouverture’ de la ‘Recherche’, « Bulletin d’informations proustiennes, 10 (1979), pp. 9-22 e 11 (1980), pp. 9-32. Jean Milly, L’ouverture de ‘La Prisonnière’ d’après le manuscrit ‘définitif’ et les dactylographies, « études proustiennes VI, Cahiers Marcel Proust », 14 (1987), pp. 288-338. Bernard Brun, étude génétique de l’Ouverture de La Prisonnière », études proustiennes VI, cit., pp. 211-87. Almuth Grésillon, Jean-Louis Lebrave, Catherine Viollet, Proust à la lettre. Les intermittences de l’écriture, chap. 3, 4, et 5, Du Lérot, Tusson (1990), pp. 61-139. Almuth Grésillon, « Proust ou l’écriture vagabonde. A propos de la genèse de la ‘matinée’ dans La Prisonnière », in Rainer Warning et Jean Milly (éd.), Marcel Proust. Ecrire sans fin, Paris, CNRS Editions, coll. « Textes et Manuscrits », 1996, pp. 99-124.
9 Geneviève Henrot, « Le Fléau de la balance », art. cit.
10 Geneviève Henrot, « D’un bleu de cinéraires. Notule sur un fragment de la Recherche », in Bulletin d’informations proustiennes, 26 (1995), pp. 127-143.
11 Per cento motivi di reminiscenze inventati nel corso degli anni tra il 1900 e il 1922, Proust ne abbandonò tre o quattro ; probabilmente gli mancò il tempo per ricuperarli come fece in tanti altri casi : vedasi Délits/Délivrance, op. cit., p. 9.
12 Carnet I, 1908, Nouvelles acquisitions françaises 16637, Fonds Marcel Proust, la cui trascrizione venne pubblicata in Cahiers Marcel Proust 8, Paris, Gallimard, 1976, p. 83.
13 La percezione del tempo che fa suppone infatti l’apprezzamento della luminosità, dell’umidità, il sapore, l’odore, la temperatura dell’aria, la pressione atmosferica… Jean-Pierre Richard ne fece poco fa un ragguaglio tematico più ampio dei soli casi di memoria climatica (« Proust météo », in Essais de critique buissonnière, Gallimard (“NRF”), Paris, 1999, pp. 107-119). Vedasi anche G. Beros-Cazes, Proust et le temps qu’il fait. Météorologie dans A la recherche du temps perdu, Ed. Caractères (Essais), Paris (1986), 97 pp.
14 Eccone il dettaglio, che ci suggerisce come il numero dei motivi sia inversamente proporzionale al loro potere illustrativo, se diamo retta al narratore della « madeleine », che disprezza la vista del pasticcino mentre viene colto dal piacere intenso che gli procura il suo sapore ; cosicché l’odore e il sapore diventano lo stelo sul quale poggia l’intero edificio del ricordo :
Gusto : 3 motivi golosi, la maddalena, i dolci e le torte dei picnic.
Tatto : 3 motivi, il tovagliolo inamidato, i bottoni degli stivaletti, la grana della carta di un libro.
Movimento : 5 motivi : inciampare su un lastricato sconnesso, scendere le scale in compagnia di Saint-Loup, annodarsi un foulard dietro il collo, tendere la mano per salutare, chinarsi sugli stivaletti.
Clima : 7 motivi : l’aria fresca del battistero, una bella giornata di primavera, la nebbia notturna, il caldo estivo nelle fattorie, un’alba fresca, un soffio di pioggia, il vento mite di gennaio.
Odorato : 11 motivi, dall’odore di muffa e di chiuso del padiglione dei Champs-Elysées, ad una corrente d’aria sotto una porta, un fuoco di ramoscelli o di foglie umide, il profumo di semi di iris, la naftalina e il vetiver, l’odore di petrolio, il sapone del Grand-Hôtel, la vernice delle scale di legno, un vento piovoso.
Vista : 34 motivi, il mantello di Fortuny, i campanili di Martinville, i viali alberati, le strade con ridossi, i fiori dei campi, le facciate di certe chiese, il raggio di luce, all’alba o al tramonto, che filtra dalle imposte, raggi di luna o di sole, riflessi nelle pozzanghere…
Udito : 37 motivi, dal cucchiaio che tintinna su di un piattini al rumore del calorifero o della tubatura d’acqua, senza dimenticare tutti i nomi il cui significante funge da richiamo a ricordi involontari, come il « nom de Guermantes » réentendu dans sa prononciation d’autrefois… ». Due riflessioni di G. Henrot si concentrano sulla specificità dei significanti linguistici come motivi sonori di memoria involontaria : « Mnemosyne and the Rustle of Language », in Proust in Perspective : Visions and Revisions, Atti del Convegno Internazionale Proust 2000 dell’Università di Urbana-Champaign, Illinois, 13-16 aprile 2000, ed. Armine Mortimer and Katherine Kolb, University of Illinois Press, Urbana-Champaign Illinois (2002), pp.105-115 ; e « L’archi-texture du signe proustien », in Marcel Proust 4, Proust au tournant des siècles 1, Minard, Paris-Caen, « Revue des Lettres Modernes » (2004), pp. 273-291.
15 A guardarci bene, la madeleine dà nascita a 145 pagine su 3500, fino a Un amour de Swann
16 All’epoca di Proust, questo tipo di memoria incuriosì Paul Chabaneix in Le Subconscient chez les artistes, les savants et les écrivains, Baillière, Paris, 1897, pp. 31-3 : « L’état intermédiaire à la veille et au sommeil, soit que l’on s’endorme, soit que l’on se réveille, a été depuis longtemps à juste titre considéré comme favorable à la production d’hallucinations spéciales qu’on a appelées hallucinations hypnagogiques […] Les hallucinations hypnagogiques peuvent affecter tous les sens […] Des images mouvantes qui se succèdent en forment le fond. Ces images ont la vivacité des figures et des objets réels. On peut entendre aussi des sons, des voix, des paroles inarticulées. Ces hallucinations sont bien des manifestations objectivées du subconscient, tirées de cette mémoire subconsciente que nous savons plus étendue que la mémoire latente […]. Il faut savoir aussi que ces hallucinations peuvent se produire non seulement au moment de l’invasion du sommeil, mais, si le système nerveux est très surexcité, dès qu’on ferme les yeux ou même dans une chambre obscure ».
17 Trascritta da Léon Pierre-Quint, in Le Combat de Marcel Proust, Le Club français du Livre, Paris (1955),pp. 78-79. Riedizione di Comment parut ‘Du côté de chez Swann’, Kra, Paris (1930), già riedito con il titolo Proust et la stratégie littéraire, Corrêa, Paris (1954). Si veda anche l’intervista a Elie Joseph Bois per Le Temps, che doveva pubblicizzare l’uscita di Du côté de chez Swann. (in Contre Sainte-Beuve, Gallimard (Pléiade), Paris (1971), pp. 557-559). Proust tenne un discorso simile sia a René Blum (cfr nota 1), sia alla stampa e ai critici dell’epoca : composizione accurata del libro, esperienza sensibile, ruolo delle due memorie, risveglio.
18 John Porter Houston, « Les structures temporelles dans A la recherche du temps perdu», in Recherche de Proust, Seuil, Paris (1971), pp. 88-104.
19 Da un punto di vista genetico, si è notato che i primi abbozzi di mattinate proponevano già diverse linee tematiche (odore di macchina, rumori della strada, ragazze che passano) che Proust distribuirà poi nelle varie mattinate dei volumi successivi (Claudine Quémar, « Autour de trois ‘avant-textes’»… ; Bernard Brun, « Le dormeur éveillé… Esse sono infatti un motivo privilegiato della Recherche : dal Combray delle « évocations tournoyantes et confuses» alla Matinée Guermantes, senza dimenticare le sette mattinate della Prisonnière.
20 Altre due matinées s’intercalano qui, ma non danno luogo a alcuna sequenza di ricordi : RTP, III 863 et III 904.
21 Rispetto alla memoria involontaria, la memoria del corpo, delle membra, sembra tradire una sorta di inferiorità nella sua difettosa lucidità (ancora mezzo addormentato, privo di intelligenza, incapace di intendere, mentre la memoria involontaria, anche se faticosamente, finisce col capire finalmente qualcosa che fino ad ora le era sfuggito. Ma quale voce narrante produce simile discorso ? Sarà il narratore, in questo preciso passo, a confessare discretamente il suo disprezzo per la memoria del corpo e del sogno, considerandole realmente inferiori alla memoria involontaria nel senso stretto del termine, o invece dobbiamo cogliere una certa ironia nei confronti degli intellettuali che propugnano la sola ragione e la sola volontà dell’intelligenza come strumento del giudizio ?
22 Nei passi che descrivono la memoria organica, il corpo e le sue parti occupano invariabilmente una posizione sintattica di soggetto, o almeno un ruolo attivo (agente) nella frase, mentre il soggetto lirico (l’io) è ridotto allo stato di aggettivo possessivo o pronome personale oggetto.
23 Come lo chiama Proust stesso in una esquisse : Cahier 3, RTP, I, 637.
24 Geneticamente, i primi quaderni del Contre Sainte-Beuve prendono proprio le mosse, il primo (Cahier 3) dalla memoria del corpo, il secondo (Cahier 5) da quella dei risvegli che seguono il sonno profondo. Questo tipo di memoria, indotto dall’esperienza personale del malato colpito da insonnia che fu Proust tutta la sua vita, è dunque altrettanto originario dell’opposizione tra memoria volontaria e memoria involontaria.
25 A questo punto è imperativo distinguere dal sonno profondo in cui l’io perde perfino la coscienza della propria esistenza ed identità, e non ha più che « dans sa simplicité première le sentiment de l’existence comme il peut frémir au fond d’un animal » (RTP, I, 5), gli altri tipi di sonno, dispensatori di sogni vari, dalla semplice immagine-lampo, torbida ed anacronica, alla mini-scena narrativa con dialoghi. Vedasi gli articoli Sommeil (di Isabelle Serça) e Rêve (di Julia Kristeva) nel Dictionnaire de Marcel Proust, ed. Annick Bouillaguet e Brian Rogers, Champion, Paris, 2004, sub voce.
26 Vedasi ancora, nel Côté de Guermantes : « Aux parois obscures de cette chambre qui s’ouvre sur les rêves, et où travaille sans cesse cet oubli des chagrins amoureux duquel est parfois interrompue et défaite par un cauchemar plein de réminiscences la tâche vite recommencée, pendent, même après qu’on est réveillé, les souvenirs des songes, mais si enténébrés que parfois nous ne les apercevons pour la première fois qu’en plein après-midi quand le rayon d’une idée similaire vient fortuitement les frapper ; quelques-uns déjà, harmonieusement clairs pendant qu’on dormait, mais devenus si méconnaissables que, ne les ayant pas reconnus, nous ne pouvons que nous hâter de les rendre à la terre, ainsi que des morts trop vite décomposés ou que des objets si gravement atteints et près de la poussière que le restaurateur le plus habile ne pourrait leur rendre une forme, et rien en tirer. » (RTP, II, 386)
27 La genetica c’insegna come Proust, nei primi tentativi di scrittura narrativa (quelli del prologo al Contre Sainte-Beuve), apprezzasse molto di più la capacità del sogno ad annullare il tempo perduto, e quindi l’oblio. Così nel Cahier5 : « D’autres fois j’errais en dormant dans ces années perdues dont les portes ne se rouvrent pour nous que dans le sommeil. J’étais devenu celui que je n’aurais plus cru possible d’être jamais » (RTP, I, 643). La memoria del sogno vi è presentata col mezzo di una comparazione molto simile a quella che servirà più tardi per il ricordo provocato dalla madeleine : dei fiori sbocciati alla superficie dell’acqua.
28 … nel romanzo. Oppure Maman nella Correspondance : « Je ne peux plus dormir et si par hasard je m’endors le sommeil moins ménager de ma douleur que mon intelligence éveillée m’accable des pensées atroces que du moins quand je suis éveillé ma raison essaie de doser, et de contredire quand je ne peux plus les supporter » (Corr., t. V, pp. 348-9). Oppure ancora, nel Carnet I (1908), questo aerolito della vita che svanisce poi nella finzione : « Le visage de maman alors et depuis dans mes rêves » (f° 7 v°).
29 Gérard de Nerval, Aurélia, Paris, Gallimard, Pléiade, 1974, p. 359.
30 Nato per via di una doppia paronomasia (sommeil/soleil ; course/courbe) dal platonico tiro dei cavalli di Apollo lanciato nel cielo.
31 All’immagine degli Antichi, che insegnavano la mnemotecnia alloggiando gli argomenti del discorso da memorizzare in altrettante stanze di una casa immaginaria, Proust ricorre ben due volte alla dimora del sonno per collocarvi i diversi tipi di sonno e le loro rispettive memorie : così sistema nella Proprietà del Sonno quelle distinzioni che costituiscono infatti le proprietà delle diverse qualità di sonno.
32 Si veda in Claudine Quémar la lista dei « cahiers préparatoires» per questo passo.
33 L’immagine ferma, contrapposta al suo vorticoso movimento giratorio, coincide con il ritorno alla coscienza attuale. Varie aggiunte sulla dattilografia propongono varianti del vertiginoso turbinio : « Qu’il soit endormi brusquement, tourné, sur un côté où ne repose pas d’ordinaire la flexion de ses membres, aussitôt les myriades des étoiles [sic] s’échappent, tombent à terre et s’éteignent, quoique la nuit commence à peine et qu’elles brillent de leur plus vif éclat dans le ciel » (RTP, I, 1087), dove si accentua il carattere effimero del ricordo notturno. Vedasi anche gli schizzi tratti cronologicamente dai Cahiers 3 e 5 in cui Proust sfrutta la famiglia del tour : tour, tourné, tourbillon, étourdi.