Sommaire
1. Esperimenti e teoria
Il sodalizio tra Goethe e Schopenhauer a Weimar, dal novembre 1813 al maggio 1814, fu un episodio significativo nella biografia di Goethe fondamentale per il ventiseienne Schopenhauer, fresco della Promotion in filosofia all’università di Jena. In quei pochi mesi il giovane filosofo rimeditò, con il contributo del grande poeta, temi tratti dalle pagine di Kant e Schelling. Il rapporto tra verità e arte, la figura del genio, il monismo, l’idea di sviluppo ascendente delle forme naturali, la concezione gnoseologica e il ruolo centrale della causalità, l’idea di filosofia della natura: nessuno di questi argomenti centrali nel sistema del Mondo come volontà e rappresentazione sarebbe come noi lo conosciamo se Goethe non fosse stato presente nella vita di Schopenhauer1.
Tuttavia non fu la filosofia l’oggetto principale delle loro conversazioni in quei mesi di intensa frequentazione, bensì la ricerca sperimentale sui colori. Con l’imporsi di un rapporto maestro-discepolo, Goethe offrì a Schopenhauer l’opportunità di avvicinare una disciplina scientifica in modo completamente nuovo rispetto al periodo degli studi universitari, introducendolo alla pratica sperimentale. Nelle giornate trascorse con Goethe, Schopenhauer fu avviato allo studio della Farbenlehre (1810), all’apprendimento delle tecniche di indagine sui fenomeni cromatici e alla risoluzione di quesiti scientifici attraverso l’ideazione e la realizzazione di procedure sperimentali. Goethe cercava un collaboratore per proseguire nella sua battaglia per la cromatologia, dopo lo scarso successo riscosso dall’opera del 1810. Schopenhauer fu lusingato dall’attenzione e dalla stima manifestate dal poeta dopo la lettura della sua dissertazione Ueber die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde e si convinse della bontà del progetto scientifico goethiano2. Condivise il proposito di spodestare la concezione newtoniana, secondo la quale i colori sono fondamentali e la luce bianca è una miscela di colori, e sposò l'idea di Goethe sulla polarità tra luce bianca e oscurità come «fenomeno originario» che in un mezzo torbido genera il colore3.
Schopenhauer lasciò Weimar nel maggio 1814 ma non abbandonò lo studio dei colori. Continuò la ricerca e sviluppò in un senso completamente nuovo la concezione dei colori come fenomeni derivati. «Dopo un anno che mi ero sottratto all'influenza personale di Goethe, potei trovare la vera, fondamentale e inconfutabile teoria del colore», il quale «è l'attività divisa qualitativamente della retina»4. Schopenhauer non mise in discussione l'idea che la polarità fosse il fenomeno originario dei colori, ma sostenne che tale polarità non era fisica – tra luce bianca e assenza di luce – bensì fisiologica: tra attività e inattività della retina. I colori diventavano il prodotto stesso del vedere, e l'elaborazione di una teoria dei fenomeni cromatici altro non era che una ricerca "sulla vista e i colori", appunto il titolo del trattato Ueber das Sehn und die Farben pubblicato nel 18165.
Schopenhauer attribuì l’allontanamento dal maestro a ragioni sia filosofiche sia scientifiche. Riguardo alle prime, fu chiaro fin dall'iniziale riflessione sull'argomento, nel 1814: Goethe «parte dall'oggetto» invece che «dal soggetto». La tesi fu ribadita nei manoscritti del 1830 e nei Parerga und Paralipomena: «la straordinaria oggettività» di Goethe gli impedì di riconoscere il ruolo del soggetto, «in questo caso l'occhio che vede», una verità facilmente accessibile a chi viene «dalla scuola di Kant»6. Fu esplicito anche sulle divergenze scientifiche, concernenti gli esperimenti e le osservazioni sui fenomeni cromatici. Sia nell'opera a stampa sia nei manoscritti sono molti i luoghi dedicati all'analisi delle differenze o alla descrizione degli errori osservativi del poeta. «Goethe osserva che il rosso produce sempre uno spettro verde e viceversa; ma io constato che qualunque superficie illuminata con grande intensità, e che non ha un proprio colore ben definito, produce uno spettro verde»; in alcune manipolazioni sperimentali il bianco nasce dalla mescolanza dei colori e «Goethe stesso adduce questo esperimento; tuttavia, a causa della sua polemica del resto giusta contro Newton, non vuol riconoscerlo come esempio e dimostrazione della produzione del bianco con dei colori»; Goethe ammette, ma non è in grado di spiegare, che «una linea nera su sfondo bianco, … vista attraverso un prisma, dà il vero rosso»7.
2. Schopenhauer e Goethe scienziati
Nell'analisi del rapporto fra Schopenhauer e Goethe, gli studiosi hanno privilegiato gli aspetti filosofici e, in particolare, il significato della Farbenlehre per la formazione della gnoseologia e della metafisica di Schopenhauer. L'apparato sperimentale e il genuino interesse per la spiegazione scientifica dei colori sono stati giudicati poco rilevanti. Nella trascrizione dei manoscritti di Schopenhauer, Arthur Hübscher ha tralasciato molte delle pagine dedicate alle descrizioni e alle spiegazioni delle osservazioni sperimentali8. Per Schopenhauer, invece, Ueber das Sehn und die Farben era innanzitutto un'opera con ambizioni scientifiche. Era certamente collegata alla filosofia – la sua impostazione era debitrice della lezione kantiana –, tuttavia era un contributo autonomo: «il mio sistema filosofico … e la mia teoria dei colori … questo è il centro della mia vita»9. Poiché riteneva che tutti i suoi scritti filosofici fossero riconducibili a Die Welt als Will und Vorstellung, menzionare separatamente il trattato Ueber das Sehn und die Farben voleva dire che non era parte della sua produzione filosofica.
Era un’opera scientifica costruita su esperimenti e con una tesi empirica da dimostrare. Non era diversa dai numerosi libri che gli scienziati del tempo scrivevano partendo dalle concezioni di Kant e di Schelling, ma che, diversamente dal caso di Schopenhauer, sono stati tradizionalmente ricondotti all'alveo della storia della scienza e non sono diventati oggetto di studio per gli storici della filosofia10. Il caso di Jan Evangelista Purkinje, autore di fondamentali studi sulla formazione delle immagini sulla retina negli stessi anni in cui Schopenhauer si dedicò alla fisiologia dei colori, è esemplare. Proprio come Schopenhauer, Purkinje sviluppò ricerche sulla visione con riferimento a concezioni filosofiche riconducibili a Schelling e al Romanticismo, ma, poiché non scrisse trattati di filosofia, il suo lavoro è oggi parte riconosciuta del percorso storico della scienza. Eppure Schopenhauer lo considerava un collega e rivale, e più di trent’anni dopo si preoccupava ancora di spiegare al discepolo Julius Frauenstädt che la sua ricerca non era stata superata da quella di Purkinje, perché questi aveva compiuto studi sull’attività figurativa della retina, non sui colori11.
La comprensione del rapporto tra Goethe e Schopenhauer non può prescindere dal riferimento al contesto scientifico. Se ciò vale per Schopenhauer, dovrebbe valere anche per Goethe. È importante cogliere quanto gli interessi di Goethe, e di riflesso il suo modo di rapportarsi a Schopenhauer, fossero guidati da vicende scientifiche coeve. Limitarsi a spiegare il dissidio tra Goethe e Schopenhauer nei termini di relazioni e discussioni circoscritte ai due protagonisti lascia aperto più di un interrogativo. Ad esempio, perché Goethe fu così freddo sull’impostazione fisiologica di Schopenhauer? In fondo egli stesso aveva riconosciuto l’importanza dell’intervento del soggetto nella fenomenologia dei colori. Si trattava davvero di una contrapposizione soltanto filosofica tra l’oggettivismo della Farbenlehre e il soggettivismo del filosofo?
3. Interpellare Seebeck
Schopenhauer collaborò con Goethe tra il novembre 1813 e il maggio 1814, quando si trasferì a Dresda. Nel giugno 1815 inviò al maestro il manoscritto del trattato Ueber das Sehn und die Farben, ma Goethe non rispose che a ottobre, dopo essere stato sollecitato da una seconda lettera. Lodò l’indipendenza di pensiero del giovane ma dichiarò la propria indisponibilità a discutere le critiche di Schopenhauer. Fu esplicito nel dichiarare che si trattava di questioni tecniche, derivate da esperimenti e osservazioni, non della contrapposizione tra fisica e fisiologia dei colori: «sento anche di essermi così estraniato da quelle cose, da non poter tollerare di accogliere in me una contraddizione, risolverla o adattarmici. Perciò non posso toccare questi punti controversi; solo per il violetto Le invierò un piccolo appunto»12.
Consapevole di contravvenire alle aspettative del suo interlocutore, Goethe propose allora di coinvolgere il fisico Thomas Seebeck. «Affinché tuttavia il Suo bel lavoro, degno di gratitudine, non rimanga senza alcun effetto all’esterno, Le faccio la seguente proposta. In viaggio, ebbi la fortuna di incontrare il dottor Seebeck. … Mi permetta di inviargli il Suo lavoro e le Sue lettere, o anche soltanto il lavoro, certamente ne verrà per Lei e per me il desiderato interessamento e ammaestramento». Ma quella che per Goethe era l’offerta di un’opportunità, a Schopenhauer appariva un trattamento sdegnoso. Ferito dalla proposta, rispose con durezza: «ciò di cui ho bisogno e che desidero è autorità. Ora Ella la possiede in abbondanza: il dottor Seebeck non me ne può dare e quindi non può aiutarmi»13.
In genere la vicenda è stata letta dal punto di vista di Schopenhauer, dando per scontato che Goethe avesse trovato inaccettabile la riduzione dei colori alla fisiologia della visione e si fosse inoltre risentito della presunzione con la quale l’allievo si proclamava migliore del maestro. Non incline a prendere posizione sullo scritto del giovane, per evitare una lunga quanto sterile polemica, avrebbe cercato di sfuggire alle richieste dell’interlocutore dirottandole verso una terza persona. Il limite di questa interpretazione, che fu anche quella di Schopenhauer, è che non si tiene conto dell’identità di quella terza persona. In effetti nemmeno Schopenhauer aveva le idee chiare su chi fosse, ma è proprio la sua menzione nella lettera di Goethe che permette di rileggere la vicenda in modo diverso, e in particolare di valutare in modo diverso la posizione di Goethe.
Thomas Johann Seebeck fu tra i numerosi scienziati tedeschi che condivisero la critica alla concezione newtoniana del mondo e della scienza. Tuttavia non è ricordato come uno dei tanti esponenti della cosiddetta “scienza romantica” né un adepto della Naturphilosophie. Sebbene tra i suoi compagni di avventure intellettuali figurino Hegel e Goethe, i suoi scritti non contengono visioni del mondo, ardite astrazioni filosofiche e licenze poetiche. Seebeck era uno scienziato sperimentale più interessato a escogitare nuove procedure di laboratorio che a sviluppare concezioni teoriche. Il suo anti-newtonianesimo non lo condusse a quella militanza ben nota in Schelling, Hegel e Goethe, bensì a ideare esperimenti che permettessero un confronto effettivo tra le tesi avversarie. Proprio la singolarità della sua impostazione dei problemi scientifici lo indusse a studiare le interazioni tra le forze e, nel 1821, un anno dopo la scoperta dell’elettromagnetismo, lo portò alla fama nella storia della fisica con la scoperta dell’effetto termoelettrico14.
Dopo gli studi a Berlino e Gottinga, conclusi nel 1802 con il titolo di dottore in medicina, si dedicò alla ricerca fisica e divenne professore a Jena. Strinse amicizia con Goethe e presto condivise la sua battaglia contro la teoria newtoniana sulla natura dei colori. Lavorò assiduamente all’apparato sperimentale della Farbenlehre e a partire dal 1806 coadiuvò Goethe nella preparazione e nella stesura delle parti didattica e polemica dell’opera. Dopo il 1810 seguì la ricezione della Farbenlehre, ne difese pubblicamente la validità dagli attacchi dei recensori, analizzò le critiche e ne fece tesoro per lo sviluppo di nuovi percorsi di indagine sperimentale. Continuò a lavorare sui colori e a sostenere l’impostazione di Goethe anche dopo aver lasciato Jena e il trasferimento a Norimberga (1812) e a Berlino (1818).
Goethe, dal canto suo, nel 1812 aveva deciso di lasciare le ricerche di ottica, visto l’insuccesso della Farbenlehre presso la comunità scientifica. Seebeck, invece, continuò a sostenerne il progetto teorico e vi diede nuovo impulso con una serie di esperimenti e scoperte basati sul nuovo fenomeno luminoso rivelato nel 1808 da Étienne Louis Malus: la polarizzazione. Furono le novità offerte dagli esperimenti sull’interazione tra luce polarizzata e materia, avviati da Seebeck nell’estate 1812, che risvegliarono l’entusiasmo di Goethe per la cromatologia. Era un ambito di ricerca che stava riscuotendo grande interesse anche a Parigi e che coinvolgeva fisici di primo piano come Dominique François Arago e Jean Baptiste Biot. Le procedure sperimentali di Seebeck permettevano di esaminare accuratamenre la nuova classe di fenomeni di interferenza, i cosiddetti “colori entottici”, e mostravano la versatilità della concezione goethiana nello spiegarli.
L’apparato sperimentale era impostato su quello elaborato da Malus: due specchi ruotanti, dei quali il primo rifletteva la luce proveniente dalla sorgente e il secondo la portava all’osservatore, tra i quali Seebeck collocava spessi pezzi di vetro tagliati in varie fogge (cubi, cilindri, ovali, poliedri). In talune condizioni, nei pezzi di vetro venivano visualizzate immagini colorate con disegni geometrici ben definiti. L’idea di chiamare “entottiche” le figure così formate era un omaggio a Goethe e alla procedura, elaborata dalla Farbenlehre, di ricorrere a un prefisso per identificare la natura dei fenomeni luminosi. Se “diottici” erano i colori sviluppati dal passaggio della luce nel prisma e “epottici” i colori realizzati dalla luce interagente con materiali sottili, “entottici” erano i colori prodotti all’interno dei vetri utilizzati nell’esperimento.
Le affascinanti figure colorate visualizzate da Seebeck nei suoi esperimenti sono oggi ricondotte alla complessa fenomenologia dell’interferenza tra fasci di luce polarizzata. All’epoca, la varietà delle forme e delle colorazioni a seconda delle condizioni sperimentali non era facilmente comprensibile: Seebeck analizzava diverse ipotesi, e cercava di discriminare tra di esse modificando la posizione, le caratteristiche e la natura stessa degli oggetti collocati tra gli specchi. I pezzi di vetro venivano riscaldati e poi fatti raffreddare bruscamente o gradualmente, al loro posto venivano messi cristalli, oppure altri corpi trasparenti, compresi liquidi di varia natura. L’abilità di Seebeck nell’escogitare nuove varianti e nel formulare generalizzazioni convincenti fu premiata dal successo delle sue ricerche presso la comunità scientifica parigina. La sua costanza e la sua dedizione alle idee della Farbenlehre furono le ragioni che indussero Goethe a non abbandonare la ricerca sui colori e nel 1820 a scrivere il saggio Entoptische Farben15.
4. Goethe, Seebeck e Schopenhauer
Un anno dopo il rinato interesse per l’ottica, stimolato anche dall’invio da parte di Seebeck di apparecchiature e istruzioni per replicare i fenomeni di polarizzazione, Goethe incontrò Schopenhauer. Seebeck lo teneva costantemente informato dei nuovi esperimenti e soprattutto gli faceva notare che l’applicazione della Farbenlehre alle nuove questioni poste dalla polarizzazione stava dando risultati concreti e soddisfacenti. Ma Goethe, ormai quasi sessantacinquenne, non se la sentiva più di seguire la strada della sperimentazione quotidiana. La cooptazione di Schopenhauer nel novembre 1813 fu dettata dall’esigenza di istruire un giovane brillante al nuovo corso sperimentale, non tanto per farne un discepolo quanto per procurarsi un collaboratore. Ormai non si trattava più di diffondere il verbo della Farbenlehre, bensì di coltivare e ampliare quelle prove che avrebbero avuto il giusto riconoscimento da parte degli scienziati.
Purtroppo dopo sei mesi Schopenhauer dovette lasciare Weimar quasi improvvisamente, a causa dei pessimi rapporti con la madre. L’apprendistato venne dunque interrotto troppo presto. Goethe aveva introdotto Schopenhauer alle concezioni e agli esperimenti della Teoria dei colori, ma non ancora ai recenti sviluppi degli studi sulla polarizzazione, come testimonia il successivo scambio espistolare. Nel febbraio 1816 Goethe scrive a Schopenhauer che «i colori entottici diventano sempre più importanti» e che per questo Seebeck è stato premiato dall’Institut national di Parigi. La risposta di Schopenhauer lascia intendere che egli è all’oscuro di tutto: «mi dispiace molto che un errore di scrittura nella sua lettera mi renda impossibile capire quali sono i colori che diventano sempre più importanti, cosa che naturalmente mi interessa molto: vi è scritto “entottici”, vuol forse dire epoptici? Vorrei anche sapere per quale scoperta Seebeck riceve quel premio … Due parole di spiegazione a questo proposito mi farebbero molto piacere»16.
La rilettura del carteggio tra maestro e allievo tra il 1815 e il 1816 alla luce del rapporto privilegiato che Goethe ebbe con Seebeck contribuisce alla comprensione dell’infelice epilogo della vicenda. L’interlocutore di Schopenhauer non era più il Goethe della Farbenlehre, ma il Goethe dedito ai colori entottici, un argomento di ottica fisica assente dall’opera del 1810. Schopenhauer pensava di avere sviluppato nella giusta direzione, quella fisiologica, le concezioni goethiane, mentre nel frattempo Goethe si era convinto che lo sviluppo più promettente fosse quello basato sulle figure entottiche scoperte e studiate dagli esperimenti di Seebeck. Ecco perché non diede troppa importanza allo scritto di Schopenhauer Ueber das Sehn und die Farben, pur riconoscendo che era uno sviluppo interessante della propria opera. In quel momento la priorità era lavorare a un filone di ricerca che prometteva riconoscimenti in ambito scientifico. Schopenhauer non era informato, non capiva, e giunse a temere che Goethe potesse “tradire la causa”, ovvero la lotta contro Newton. «Malus e Arago a Parigi hanno recentemente compiuto difficili esperimenti e dotte indagini sulla polarizzazione e depolarizzazione dei raggi della luce, nei quali si sono presentati i raggi omogenei: ma tutta questa è fatica sprecata, essi battono una strada sbagliata fin tanto che cercano, con Newton, la causa essenziale del colore in una modificabilità (divisibilità) specifica e originaria della luce»17.
Si capisce allora perché alcuni mesi dopo, inviando a Goethe il testo a stampa del suo trattato, scrivesse amaramente: «da solo io pigio l’uva»18. Pensava che Goethe non fosse più interessato a combattere la battaglia contro Newton ma preferisse cercare un punto d’incontro con la scienza newtoniana. Non capiva che l’attenzione di Goethe per Seebeck era motivata proprio dalla prospettiva che, grazie ai colori entottici, la Farbenlehre potesse far breccia nelle menti dei fisici legati alla tradizione newtoniana. Seebeck pubblicava nel «Journal für Chemie und Physik», la prestigiosa rivista diretta da Johann Salomo Christoph Schweigger insieme con Lorenz von Crell e Jöns Jacob Berzelius, e non mancava di sottolineare che la concezione alla base della sua ricerca era quella di Goethe. Coloro che avevano disdegnato l’approccio goethiano, in particolare i fisici parigini, riconoscevano ora la sua importanza. Proprio nel periodo in cui era in corso il carteggio con Schopenhauer, Goethe venne a sapere che Biot e Arago avevano ottenuto che l’Institut national di Parigi premiasse Seebeck «per la scoperta che i vetri riscaldati e rapidamente raffreddati producono figure regolari variamente colorate, quando interposti tra blocchi di ghiaccio o specchi»19. L’inaspettato quanto gradito successo dei colori entottici presso i newtoniani parigini indusse Goethe non a misurarsi con la teoria fisiologica di Schopenhauer bensì a sollecitarne il confronto con Seebeck20. Quando Goethe scrive: «il mio più grande desiderio sarebbe quindi che voi due vi conosceste e lavoraste insieme», invita Schopenhauer a cercare con Seebeck una strada che lo porti a essere riconosciuto dalla comunità scientifica. Non si trattava di una contrapposizione tra ottica fisica e fisiologica, come credeva Schopenhauer, anche perché lo stesso Goethe riconosceva l’importanza della prospettiva fisiologica per la comprensione dei colori entottici21.
Goethe non aveva più interesse né per i particolari tecnici della Farbenlehre né per le correzioni ai dettagli che Schopenhauer gli proponeva. Lo interessava percorrere la strada che lo avrebbe portato al centro del dibattito scientifico dell’epoca: ecco perché seguì Seebeck e invitò Schopenhauer a lavorare con Seebeck. Schopenhauer non comprese il valore dell’offerta. Invece intese le parole di Goethe come espressione di una sorta di invidia per l’allievo che supera il maestro. Nella lettera di risposta (11 novembre 1815) sentenziò: «bisogna che l’errore si trovi nella mia opera o nella Sua». Questa presa di posizione gli precluse definitivamente l’interessamento di Goethe, il quale, cinque giorni più tardi, scriveva disarmato: «se poi ho espresso il desiderio di metterLa in contatto con Seebeck, era perché speravo di interessare il mio amico anche alla parte fisiologica e all’elemento teorico generale. Ma giacché Ella non vuole, non insisterò oltre»22.
Nei mesi successivi gli sviluppi dell’ottica avrebbero confortato la scelta di Goethe a favore di Seebeck. La teoria ondulatoria di Augustin Jean Fresnel (pubblicata nel 1816 e premiata dall’Accadémie des sciences di Parigi nel 1819) da un lato e l’ottica fisiologica di Purkinje dall’altro indicavano nuove vie alla comprensione scientifica dei fenomeni luminosi e cromatici. Il corpuscolarismo dei newtoniani non era più il modello privilegiato dagli scienziati, e Goethe poteva finalmente sentire che la sua battaglia aveva avuto una funzione23. Dopo una frustrante emarginazione Goethe raccoglieva i frutti di lunghi anni di studi. Schopenhauer, invece, allontanatosi da Goethe nel 1816, non godette di questo tardivo successo delle idee del maestro e maturò l’errata convinzione che il loro dissidio fosse dipeso principalmente dalla contrapposizione filosofica tra primato del soggetto e primato dell’oggetto.
Resta da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se Schopenhauer non si fosse allontanato da Weimar tanto presto. Forse si sarebbe dedicato ai colori entottici e non avrebbe mai scritto il trattato Ueber das Sehn und die Farben. Oppure avrebbe redatto ugualmente la sua teoria fisiologica dei colori, ma avrebbe potuto arricchirla con le idee del genio sperimentale di Seebeck senza diventare antagonista di Goethe. Raccontata dal punto di vista della storia della scienza e con la presenza di Seebeck, la vicenda Goethe-Schopenhauer induce a chiedersi se un litigio con la propria madre possa cambiare la storia di una persona.
1 Sul ruolo di Goethe nella formazione della filosofia di Schopenhauer si rimanda a A. Hübscher, Schopenhauer-Bibliographie, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1981, pp. 170-72. Testi più recenti: Arthur Hübscher, Denker gegen den Strom. Schopenhauer: Gestern-Heute-Morgen, Bonn, Bouvier, 1973, trad. it. a cura di G. Invernizzi con il titolo Arthur Schopenhauer: un filosofo contro corrente, Milano, Mursia, 1990, pp. 69-77; P.F.H. Lauxtermann, Five decisive years: Schopenhauer's epistemology as reflected in his theory of colour, «Studies in History and Philosophy of Science», XVIII, 1987, pp. 271-91; S. Barbera, Schopenhauer e Goethe: dall'attimo al fenomeno originario, «Iride», 2, 1989, pp. 41-63; M. Dirrigl, Goethe und Schopenhauer: mit zwei Excursen, Regensburg, Universität-Verlag Regensburg, 2000; P.F.H. Lauxtermann,Schopenhauer’s Broken World-View. Colours and ethics between Kant and Goethe, Dordrecht, Kluwer, 2000.
2 Goethe aveva ricavato un’ottima impressione dalla lettura di Ueber die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde. Eine philosophische Abhandlung, Rudolstadt, in Commission der Hof-Buch und Kunsthandlung, 1813.
3 Sul rapporto con Goethe rispetto alla questione dei colori, cfr. A. Hübscher, Schopenhauer-Bibliographie cit., pp. 191-92. Inoltre: V. Ronchi, Schopenhauer con Goethe e contro Goethe in tema di colore, «Physis», 1, 1959, pp. 279-93; P.F.H. Lauxtermann, Hegel and Schopenhauer as partisans of Goethe's theory of color, «Journal of the History of Ideas», 51, 1990, pp. 599-624; S. Barbera, "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer. Introduzione alla lettura, Roma, Carocci, 1998, pp. 85-88. Recenti ricostruzioni della battaglia di Goethe sull’ottica: F. Burwick, The damnation of Newton: Goethe's color theory and Romantic perception, Berlin, de Gruyter, 1986; D. L. Sepper, Goethe contra Newton. Polemics and the project for a new science of color, Cambridge, Cambridge University Press, 1988; K. J. Grün, Augentäuschung und Wirklichkeit. Zur Theorie der Farben und des Lichts bei Schelling und Goethe, in K. J. Grün, M. Jung (Hrsgs.), Idee, Natur und Geschichte, Hildesheim, Georg Olms Verlag, 1991, pp. 40-65; M. Élie, Lumière, couleurs et nature. L’Optique et la physique de Goethe et de la Naturphilosophie, Paris, Vrin, 1993.
4 A. Schopenhauer, Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften, vol. II, Berlin, Hayn, 1851, trad. it. di M. Montinari e di E. Amendola Kuhn a cura di M. Carpitella con il titolo Parerga e Paralipomena, tomo II, Milano, Adelphi, 1983, p. 239. A. Schopenhauer, Ueber das Sehn und die Farben. Eine Abhandlung, II ed., Leipzig, Hartknoch, 1854, trad. it. a cura di M. Montinari con il titolo La vista e i colori e carteggio con Goethe, Torino, Boringhieri, 1959, p. 69.
5 Schopenhauer, Ueber das Sehn und die Farben, eine Abhandlung, Leipzig, Hartknoch, 1816.
6 A. Schopenhauer, Der handschriftliche Nachlaß, vol. 1: Frühe Manuskripte (1804-1818), hrsg. von Arthur Hübscher, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1985, trad. it. a cura di S. Barbera con il titolo Scritti postumi, vol. I, I manoscritti giovanili (1804-1818), Milano, Adelphi, 1996 p. 152: § 179; Schopenhauers Handschriftlicher Nachlass (presso la Staatsbibliothek di Berlino), vol. VIII: Cogitata, p. 85; Parerga e Paralipomena cit., p. 239.
7 A. Schopenhauer, I manoscritti giovanili cit., p. 152: § 179; La vista e i colori cit.,p. 87; Der handschriftliche Nachlaß, vol. 4,I: Die Manuskriptbücher der Jahre 1830-1852, hrsg. von Arthur Hübscher, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1985, p. 64: Cogitata, § 106.
8 Annotazioni non pubblicate sulla questione dei colori sono nei quaderni dello Handschriftlicher Nachlass conservati presso la Staatsbibliothek di Berlino: Cholera-Buch, pp. 21, 28, 115, 141, 147; Cogitata, pp. 85, 119R, 130, 132, 141, 144, 206, 301, 348, 418; Pandectae, pp. 24, 61, 113, 123, 139, 248, 280; Spicilegia, pp. 33, 43, 61, 398, 444, 462. Alcune di esse furono utilizzate nei Parerga e Paralipomena, dai quali non si può però desumere la data di composizione.
9 A. Schopenhauer, Gesammelte Briefe, hrsg. von Arthur Hübscher, Bonn, Bouvier, 1978, II ed. 1987, pp. 156-59 (lettera a Anthime Grégoire del 10 dicembre 1836).
10 Gli studi di Francesco Moiso e Stefano Poggi – per rimanere in Italia – hanno mostrato negli ultimi anni la rilevanza filosofica delle ricerche scientifiche nella Germania del primo Ottocento. Cfr. F. Moiso, Preformazione ed epigenesi nell’età goethiana, in Il problema del vivente tra Settecento e Ottocento. Aspetti filosofici, biologici e medici, a cura di Valerio Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1992, pp. 119-220 e Magnetismus, Elektrizität, Galvanismus, in F. W. J. Schelling, Historisch-kritische Ausgabe.Ergänzungsband zu Werke Band 5. bis 9. Wissenschaftshistorischer Bericht zu Schellings naturphilosophischen Schriften 1797-1800, Stuttgart, Frommann-Holzboog, 1994, pp. 165-372; S. Poggi, Il genio e l’unità della natura. La scienza della Germania romantica (1790-1830), Bologna, Il Mulino, 2000.
11 Gesammelte Briefe cit., pp. 359-60 (lettera a Julius Frauenstädt del 2 febbraio 1855).
12 Goethe a Schopenhauer, 23 ottobre 1815 (in appendice a La vista e i colori cit., pp. 165-66). Una recente raccolta del carteggio in edizione originale è Der Briefwechsel mit Goethe und andereDokumente zur Farbenlehre, hrsg. von Ludger Lütkehaus, Zürich, Haffmans Verlag, 1992.
13 Goethe a Schopenhauer, 23 ottobre 1815 e Schopenhauer a Goethe, 11 novembre 1815 (in La vista e i colori cit., pp. 166 e 175).
14 Due metalli a differenti temperature posti in contatto determinano l’insorgere di potenziale elettrico nei punti di contatto: è questo l’effetto termoelettrico, chiamato anche effetto Seebeck.
15 Entoptische Farben, in J. W. Goethe, Die Schriften zur Naturwissenschaft, vol. VIII, herausgegeben von R. Matthaei, W. Troll und L. Wolf, im Auftrag der Deutschen Akademie der Naturforscher zu Halle (Leopoldina Ausgabe), Weimar, Böhlaus, 1947, pp. 94-138. A p. 95 Goethe spiega l’origine e il significato del termine “entottico”, che rimanda al fatto che i colori compaiono all’interno dei vetri usati negli esperimenti. Seebeck redasse una Geschichte der entoptischen Farben, pubblicata in J. W. Goethe, Die Schriften zur Naturwissenschaft, cit., vol. VIII, pp. 11-15. Sul rapporto tra Seebeck e Goethe, cfr. K. Nielsen Another kind of light: The work of T.J. Seebeck and his collaboration with Goethe, «Historical Studies in the Physical and Biological Sciences», 20, 1989, pp. 107-78; 21, 1991, pp. 317-97. Nielsen ricorda che nel 1816 Jean Baptiste Biot citò le ricerche di Seebeck nel celebre Traité de physique expérimentale et mathématique.
16 Goethe a Schopenhauer, 11 febbraio 1816 e Schopenhauer a Goethe, 21 febbraio 1816(in La vista e i colori cit., pp. 190 e 191).
17 Schopenhauer a Goethe, 11 novembre 1815 (in La vista e i colori cit., p. 170).
18 Schopenhauer a Goethe, 4 maggio 1816 (in La vista e i colori cit., p. 192).
19 T. J. Seebeck, Geschichte der entoptischen Farben cit., p. 14.
20 Goethe a Schopenhauer, 23 ottobre 1815 (in La vista e i colori cit., p. 164).
21 J. W. Goethe, Entoptische Farben cit., p. 121: «ciò che avviene nell’aria accade anche nell’occhio umano, e l’opposizione entottica è anche fisiologica». Cfr. S. Barbera, "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer. Introduzione alla lettura cit., p. 107.
22 La vista e i colori cit., pp. 168 e 178.
23 Sulla ricezione di Purkinje da parte di Goethe, cfr. F. Burwick, The damnation of Newton cit., pp. 71-77.